Catastematico
ca-ta-ste-mà-ti-co
Significato Stabile, fondato, statico; nella filosofia epicurea, detto del piacere esistenziale, perseguito tramite la filosofia
Etimologia voce dotta adattata dal greco katastematikós, da kathístemi ‘stabilire, fondare, acquietare’.
- «La sua è una gioia catastematica, immutabile. Mi pare scemo.»
Parola pubblicata il 26 Settembre 2025
Sì, è una parola specialistica, dall’uso e perciò dal significato stretto, trascurabile come diecimila altri tecnicismi. Ma c’è qualcosa di strabiliante, nel catastematico; certo il suo significato, così saldo, forte e sorprendente — ma anche la sua latitanza dai dizionari, che gli dà un’aria non solo da parola oltremodo dotta (è un grecismo così grecismo da parere la parodia di un grecismo), ma da bestia silvana inafferrabile.
La prima volta che l’ho sentita, scrivendola in un appunto, avevo sedici anni, e un amato professore di filosofia (giusto in queste piovose settimane) ci stava parlando della filosofia di Epicuro, filosofo greco vissuto fra IV e III secolo a.C.. Cardine della filosofia epicurea è il piacere — ma questa affermazione si travisa facilmente. Epicuro non predica la ricerca di un piacere godereccio ed edonistico. L’assenza di dolore, l’assenza di turbamento è il piacere epicureo — insomma uno stato in cui non si provi poi fame, né freddo, né sofferenza fisica, né paura, né passione sconvolgente e via dicendo, in cui siano soddisfatti ed evitati i bisogni e i mali più basilari. Un piacere non volatile, un piacere esistenziale, un piacere stabile. In greco, si qualifica come katastematikós, da kathístemi, che significa ‘stabilire, fondare, acquietare’. ‘Catastematico’.
L’idea è eccezionale, di quelle che lasciano il segno, e peraltro con interessanti corrispondenze orientali. Il piacere epicureo è moderatissimo, misurato sul necessario e fortemente intento a capire che cosa sia il necessario (famosamente, Epicuro includeva fra i bisogni primari l’amicizia). Il piacere stesso, se esagerato, può essere turbamento, può essere dolore, può essere stortura: il lusso è in effetti (anche etimologicamente) una lussazione. Ed è un rischio del piacere cinetico, che si muove ondivago, che si raggiunge e poi si perde: il catastematico qualifica uno stato sicuro, blindato. Serve un bel po’ di filosofia, per raggiungere un piacere catastematico, ma Epicuro dice che ne vale la pena. È uno stato di libertà.
Questo concetto di stabilità applicato a qualcosa di così instabile come è solitamente la nostra dimensione interiore, tutta presa nelle maree dei sentimenti, nei turbini delle emozioni, nelle folgori dei pensieri, è paradossale e sorprendente. Ed efficace nel rappresentare situazioni straordinarie di fondazione, di stabilimento interiore.
Possiamo parlare dell’imparzialità catastematica con cui l’amico ascolta le versioni confliggenti dello sconosciuto e nostra, che siamo amici dalle elementari; possiamo parlare dell’ottimismo catastematico della collega, che non è un esercizio dinamico di prospettiva positiva, ma una determinazione statica e monolitica; possiamo parlare dell’orrore catastematico che ci suscita un piatto, stabilito come sono stabilite le leggi di natura — e hai voglia a reinterpretazioni stellate, così è e così resta.
‘Possiamo parlare’ in effetti può parere un po’ esagerato. È una di quelle parole che è difficile sia padroneggiata con disinvoltura da chi ci ascolta, oltre che da noi. Ma dà forma a una possibilità straordinaria, non serve forse una parola straordinaria per significarla?