Crescendo
Le parole della musica
cre-scèn-do
Significato Prescrizione dinamica che indica l’aumento progressivo dell’intensità sonora di un’esecuzione musicale
Etimologia come sostantivo, dal gerundio di crescere, dal latino crèscere ‘diventare grande, aumentare’, da creàre ‘creare’.
Parola pubblicata il 13 Settembre 2020
Le parole della musica - con Antonella Nigro
La vena musicale percorre con forza l'italiano, in un modo non sempre semplice da capire: parole del lessico musicale che pensiamo quotidianamente, o che mostrano una speciale poesia. Una domenica su due, vediamo che cos'è la musica per la lingua nazionale
Il crescendo, che si trova spesso abbreviato come cresc., è un effetto dinamico che si può ottenere aumentando gradualmente la potenza sonora di voci o strumenti, o accrescendo progressivamente il numero degli esecutori, oppure sommando entrambe le strategie esecutive/compositive. Un esempio celeberrimo è il Boléro di Ravel, così come la Sinfonia degli addii di Franz Joseph Haydn sfoggia un altrettanto famoso decrescendo nell’adagio finale, dove gli orchestrali uno alla volta smettono di suonare e abbandonano il loro posto.
Probabilmente, il crescendo in musica è esistito sin da tempi remoti, ma solo in epoca moderna si può rinvenire la sua prescrizione nelle composizioni musicali. Non tutti gli strumenti possono realizzarlo: nel 1713 François Couperin si rammaricava che il clavicembalo non potesse aumentare né diminuire il suono perché, a differenza del fortepiano prima, e del pianoforte poi, il sistema a corde pizzicate non permette variazioni dinamiche come invece quello a corde percosse.
Nel 1638 Domenico Mazzocchi inserì nella sua Partitura de’ Madrigali a cinque voci un segno grafico simile a una V, che più tardi sarà utilizzata coricata sul fianco destro, o sinistro per il decrescendo, imitando il disegno di una forcella, spiegando ai lettori: «questo V significa sollevatione, o (come si suol dire) messa di voce, che nel caso nostro è l’andar crescendo a poco a poco la voce di fiato, e di tuono insieme». Per inciso, la ‘messa di voce’ era un abbellimento squisitamente barocco, con finalità espressive, codificato da Giulio Caccini, che nel 1601 parla del «crescere, e scemare della voce». Ed ecco il segno usato da Mazzocchi nel madrigale Uscite a mille, a mille.
Nella pagina si vedono anche alcune ‘C’, alle quali il compositore assegnò il significato di decrescendo della voce «infino che si riduca all’insensibile o al nulla». Va detto che il ‘crescendo di fiato, e di tuono insieme’ in questo caso significa che, oltre al volume, sale anche l’intonazione (il ‘tuono’).
Insomma, il crescere e decrescere era una delle tante pratiche ben note e usate dai musicisti, anche all’estero, come spiegò Wolfgang Michael Mylius nel suo Rudimenta musices (1686). Tuttavia, solo nel 1741 il termine crescendo comparve per la prima volta, e fu nella partitura di un’opera di Jommelli: l’Astianatte. I termini crescendo e decrescendo si trovano inoltre nel Violinschule (1756) scritto da Leopold Mozart, padre di Amadeus.
L’uso eccezionale che Gioacchino Rossini fece del crescendo nelle sue composizioni, dal ppp al fff (come nell’ouverture de La gazza ladra), diede vita all’espressione ‘crescendo rossiniano’. Anche nelle cene private, il Maestro in persona cucinava superbamente, meravigliando i suoi amici con un crescendo di manicaretti!
Oggi usiamo quotidianamente questa parola, mutuandola dall’utilizzo musicale, e possiamo parlare del crescendo di tensione in un romanzo, o del crescendo di applausi alla fine di un discorso.
Non sempre l’applicazione delle dinamiche è indice di musicalità o di espressività musicali. Anni fa un mio conoscente, tecnico del suono, andò in Estremo Oriente per registrare musica italiana con un’ottima orchestra locale. Portò con sé nella trasferta un violinista italiano, con l’idea di far ascoltare agli archi dell’orchestra locale il fraseggio musicale ‘all’italiana’, per poi farlo imitare. Il solista arricchiva gli esempi con impercettibili rallentando e accelerando, con lievi variazioni d’intensità sonora, nella piena logica interpretativa, ma gli strumentisti replicavano suonando con fredda precisione, senz’anima. Fatta salva la meravigliosa tradizione musicale di quei popoli, alla richiesta degli italiani di maggior espressività, il direttore chiedeva: «clescendo?». L’orchestra continuava con il mero solfeggio… Non ci fu nulla da fare: a ogni sollecito, la domanda era: «clescendo?»