Datismo
da-tì-smo
Significato Errore fatto da chi parla una lingua straniera che non padroneggia; inutile ripetizione di sinonimi
Etimologia dal greco datismós, dal nome del generale persiano Dati.
- «Quelli sono solo dei datismi, il concetto che vuole comunicare è chiarissimo.»
Parola pubblicata il 09 Maggio 2023
No, non parliamo di quei dati che sono un punto nevralgico del dibattito pubblico, scambiati continuamente, oggetti di desideri rapaci e tallone d’Achille della privatezza: parliamo del ben meno universale Dati, nome proprio, un uomo vissuto grossomodo 2.500 anni fa, e di come in una parola elegante sia conservato meticolosamente il perché e il percome era preso in giro dalla gente d’Atene — popolazione bulla come poche altre.
Dati era un generale persiano, e in particolare è rimasto celebre perché, insieme ad Artaferne, guidò una disfatta ricordata fra le più clamorose della storia (almeno per noi), quella di Maratona.
Quello fu un momento epico e un mito fondativo per la superpotenza ateniese: Davide batte un Golia invasore, con ingegno e determinazione. È un momento cardinale per la storia d’Occidente, anzi uno di quelli che ha contribuito a creare la contrapposizione identitaria fra Occidente e Oriente, e gli aneddoti sull’evento non si contano. Poteva forse il generale persiano non rimanerci in mezzo sul piano personale?
Dati fu una persona con un’innegabile complessità. Da un lato, come generale di un esercito antico, non possiamo crederlo aduso all’esercizio della pietà, ma della pietas sì. In effetti dimostrò di avere un notevole rispetto per luoghi e oggetti sacri, in un modo che gli storiografi greci stessi notarono.
Non fu però questo sentimento religioso a distinguere il suo nome tanto da farlo entrare nel dizionario, né fu la sconfitta di Maratona. Fu il modo in cui apprezzava la cultura e la lingua greca, pur essendo straniero. E qui dobbiamo fare un rilievo: se noi parliamo con una persona che viene da un altro Paese del mondo e conosce benino la nostra lingua, sentiamo una naturale stima, apprezziamo lo sforzo — uno sforzo di conoscerci, di capirci, e i suoi errori ci sembrano poca cosa. Ad Atene però non funzionava così: la sua era una cultura strettamente monolingue, e uno straniero che parlava il greco malino, con accenti e inflessioni spurie, o con commistioni forestiere, era da prendere in giro (ne parlavamo anche a proposito di ‘solecismo’).
Il datismo è l’errore compiuto da chi parla una lingua straniera senza conoscerla bene. Quando la collega di un altro continente ci dice che «Loro sono molto contento del risultato», quando il coinquilino dell’altra parte del mare ci chiede per iscritto «Puoi darmi un pasagio?», o le centinaia di volte in cui noi, sforzandoci di parlare inglese, tedesco, arabo, abbiamo l’aperta comprensione di chi ci ascolta strafalcione dopo strafalcione, ingenuità dopo ingenuità, ecco che stiamo davanti a dei datismi. Con bonomia e autoironia, può essere usata come parola simpatica.
Ma inoltre, i dizionari registrano che il datismo è in particolare la ripetizione inutile di sinonimi nel discorso — una piega curiosa. Ad esempio, quando il commento al film girato da una una firma olimpica è uno «Sbalorditivo, strabiliante, meraviglioso», o quando lo sprezzo verso il furgone che salta la coda si sostanzia in un «Sei un pezzo di merda, sei uno stronzo, sei una merdaccia», o la giustificazione politica del comportamento un po’ sul filo del rasoio si sbilancia con un «è giusto, è corretto, è legittimo», eccoci incappare in datismi. Sono ammucchiamenti di termini simili che danno l’idea di un uso stentato della lingua, avvitati su sinonimi che non aprono sfumature diverse, che cercano l’enfasi poveramente, senza saper offrire altro.
In questo doppio uso (errore straniero e fatua accumulazione di sinonimi) ‘datismo’ si presenta come una parola elegante, raffinata come tutte quelle che hanno un pedigree ateniese — un preziosismo estremamente preciso, anche se poco accessibile. Ma ci stiamo evidentemente perdendo un pezzo, una chiave di volta che tiene insieme le due spalle dell’arco: Dati che in genere parla poco bene il greco e la specifica somma di sinonimi inutili. Forse i dizionari, a dirci qualcosa di più, hanno paura di farci arrossire mentre ci mettiamo a seccare dentro le violette.
Infatti il concetto di datismo si forma nella prima metà dell’Ottocento, e per il suo recupero dotto ricorre il riferimento a una specifica opera antica. Nella fattispecie, La pace di Aristofane, celebre autore comico ateniese, andata in scena settant’anni dopo Maratona, che parla della Guerra del Peloponneso allora in corso.
Il servo Trigeo (nella traduzione di Ettore Romagnoli) pronuncia queste battute: «Ora poi sì, possiam cantare, come / Dati, che a mezzodì se lo menava: / che piacere, che gusto, che sollazzo!» Notiamo, nell’ultimo verso, un accumulo di sinonimi: secondo certi commenti all’opera, si tratta di una frase stentata di Dati che ad Atene era rimasta proverbiale, un meme dei tempi, che Aristofane decide di riprendere in un contesto farsesco immaginando quando Dati la pronunciasse. Insomma, è una battutaccia che ai tempi capivano tutti.
La cultura greca è bifronte. Dobbiamo avere la consapevolezza che dietro all’uso più apollineo e paludato, che mette in evidenza pecche del parlare e dello scrivere, ci può essere la perpetuazione dello scherzo bullo e triviale. Senza, cessa di essere un tutto organico.