Emozione

e-mo-zió-ne

Significato Impressione, turbamento, agitazione; reazione psichica piacevole o spiacevole, che si manifesta anche nel corpo e nel comportamento

Etimologia attraverso il francese émotion, derivato di émouvoir, che viene dal latino classico emovère ‘espellere, rimuovere, scuotere’ (con la mediazione di una voce volgare ricostruita come exmovère); quello è derivato di movère ‘muovere’ col prefisso e- ‘fuori’.

  • «Sta per cominciare, che emozione!»

Bernardo di Chartres è stato un filosofo francese vissuto una caterva di secoli fa — floruit all’inizio del Millecento. Sappiamo che era molto amato e stimato, nella scuola della cattedrale di Chartres, ma non abbiamo quasi notizie biografiche e non ci è arrivata nessuna sua opera. Se non che... fra i suoi discepoli ci fu Giovanni di Salisbury, a sua volta filosofo, che nel suo Metalogicon annotò questo ricordo (tradotto qui dall’originale latino), il cui contenuto sarebbe stato ripreso come proverbiale, fino ad oggi.

Diceva Bernardo di Chartres che noi siamo come nani sulle spalle di giganti, cosicché possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non tanto per l'acume della nostra vista o l'altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e innalzati dalla statura dei giganti.

Davanti a parole come ‘emozione’ questa antica suggestione vale in maniera speciale.
È un cardine. Così centrale che è difficile da spiegare con altre parole — ed è stata messa a punto nei secoli da una poesia generale incredibile. Noi la usiamo come parola basilare e la diamo per scontata, ma siamo in piedi sulle spalle di un gigante collettivo che l’ha pensata per interpretarci. Pensata come?

Il verbo latino emovère è semplicissimo, addirittura banale. Dentro c’è il movère, che è un ‘muovere’ (da una radice proto-indoeuropea ricostruita come meuh-), con un prefisso e- che indica un fuori, verso fuori. Infatti i primi significati di emovere sono espellere, rimuovere, scacciare, strappare. Ha una violenza abbastanza marcata, e proprio l’aria di un buttare fuori. Il primo passo figurato che compie, in latino, è un passo immediato e strettamente pertinente — verso un turbare, smuovere, scuotere… emotivamente.

Il movimento si fa agitazione, e l’agitazione — ecco il punto di meraviglia vasta e sottile — l’agitazione è l’emozione. Non siamo davanti a un sentimento, anche se indulgiamo nel cortocircuito fra emozione e sentimento, perché il sentimento ha un’altra stabilità, è direzionata in maniera più definita verso un oggetto, ha una dimensione cosciente e una relatività personale e culturale che gli dà una complessità sofisticatissima e una varietà innumerevole (pensiamo a che differenza radicale e apparentemente impalpabile che c’è fra ‘gratitudine’ e ‘riconoscenza’, che sono sentimenti).

L’emozione è piuttosto una reazione volta a riorganizzare un’azione, un turbamento momentaneo dell’animo che si manifesta anche a livello corporeo e mimico e di comportamento (e quindi ne viene data immediata comunicazione a chi assiste).
La varietà delle emozioni è alla fine piuttosto ristretta: alle primarie, universali e dotate di un fondamento biologico (classicamente gioia, tristezza, rabbia, disgusto, paura e sorpresa) se ne possono aggiungere giusto alcune più complesse, come vergogna, senso di colpa, invidia. Ma comunque nella lingua l’emozione spesso e volentieri rimane indefinita quanto un’agitazione, un’impressione viva di cui si fa esperienza, con piacere o spiacere. Dopotutto non sono semplici da discernere: le viviamo da dentro, e ci investono come fatti del mondo pronti a sbatacchiarci.

Così quando parlo dell’emozione della danza, dell’emozione del rito, del film emozionante, ciò che comunico è l’immagine della mia chioma squassata dal vento — un’immagine di grande successo. Ma non è stato un successo pacifico, beninteso.

Il latino emovere si affranca dal suo movimento concreto nell’émouvoir del francese del XII secolo — i tempi di Bernardo di Chartres e di Giovanni di Salisbury. Il derivato émotion ci avrebbe messo quattrocento anni ad arrivare in italiano come ‘emozione’, e qui avrebbe trovato da un lato lo spazio di un uso pervasivo e appassionato, dall’altro una riprensione severissima in quanto francesismo (o meglio, gallicismo inutile). Nell’Ottocento Niccolò Tommaseo, nel suo famoso dizionario, si premurava di piantarci sopra ben due croci, aggiungendo che «l’italiano può dire Moto, Movimento, Commovimento, Commozione; e, più specialmente nel senso morale, Impressione viva, Affezione, Tenerezza, Turbamento». Ma a quanto pare l’emozione ha prevalso sulle bacchettate.

Parola pubblicata il 22 Maggio 2024