Eufonico

eu-fò-ni-co

Significato Che produce un effetto gradevole all’udito

Etimologia da eufonia, voce dotta recuperata dal latino tardo euphònia, dal greco euphonía, composto di êu ‘bene’ e phoné ‘voce’.

Questa parola è infingarda. Infatti la sua grecità le dà un’aura salda, statuaria, e specie in certi ambiti ci fa credere che la qualità che descrive possa essere di oggettività marmorea. Ma non è così. Nell’usarla si deve conservare la consapevolezza di star muovendo passi sul ghiaccio dell’opinione estetica.

In sé l’eufonico racconta ciò che produce un gradevole effetto all’udito, e si oppone al cacofonico. Naturalmente si può parlare di un effetto eufonico in musica, ma è un attributo che ha una dimensione un po’ generica (e anzi antiquata): dopotutto, è una disciplina che sa penetrare con discernimento armonie e dissonanze fra i suoni – ben oltre a ciò che suona ‘bene’ o ‘male’ secondo un’impressione di superficie.

Piuttosto, vi si ricorre nell’ambito della lingua. Certo considerando in modo artistico la sonorità migliore o peggiore della frase pronunciata: la ricerca di un risultato eufonico è importante, a volte certe ripetizioni lo minano, come certe costruzioni sgangherate o gonfie. Così posso cercare un sinonimo più eufonico, posso dire che lo slogan scelto non mi sembri molto eufonico, e posso dire che “Quel ramo del lago di Como” è un incipit eccezionalmente eufonico: qui con piena evidenza siamo nell’ambito del giudizio estetico. Però la qualità dell’eufonico investe anche alcuni fenomeni specifici che tendono proprio a far suonare meglio all’orecchio comune certi passaggi fra parole, e quindi qui tenta di rosicchiare un po’ di oggettività.

L’esempio più corrente è la ‘d’ eufonica (quella che correda ‘ed’, ‘od’, ‘ad’): secondo una regola che spesso è presa per assoluta, se la parola successiva inizia per vocale la ‘d’ diventa necessaria, per evitare dittonghi e ripetizioni vocaliche. Il che è manifestamente una sciocchezza: perché due vocali in fila dovrebbero essere cacofoniche? Si tratta di una considerazione estetica che non è universale né eterna. E anche la famosa limitazione del linguista Bruno Migliorini, che prescriveva la ‘d’ eufonica solo nel caso di successione di vocali uguali, non è scolpita nella pietra.

Le circostanze che giocano sul giudizio estetico di una progressione sonora sono molte. Secondo me la lingua scivola con maggior eleganza pronunciando «distinto o ottimo» rispetto a «distinto od ottimo»: la ‘d’ impone un saltello goffo – ma la situazione secondo me cambierebbe se la ‘o’ iniziale della parola seguente non fosse accentata, ad esempio se parlassi di «discorsi o orazioni» (forse meglio «discorsi od orazioni»); invece «a esempio» va normalmente bene quando dico che «ti prendo a esempio» ma forse mi suona meno bene se dico che «a esempio puoi metterci dell’aceto o del limone» – forse qui direi «ad esempio». Si tratta in massima parte di abitudine al suono, e perciò è una questione che va presa col cuore leggero di una possibilità, più che di una norma.

Oggi non usiamo molto la ‘i’ eufonica (interviene in caso di parola che finisce per consonante seguita da parola che inizia con s+consonante), ed è un po’ vezzoso dire che scendiamo in istrada o che andiamo in Isvizzera – anche se mia nonna lo diceva ed è un uso verso cui nutro affetto. Però chiediamo ancora normalmente di «metterlo per iscritto». E la ‘r’ eufonica? Perduta. Oggi ci va bene parlare del casolare che sta «su una collina», e non ci urge dire «sur una collina». Perché l’eufonia è un gusto, il gusto condiviso o personale cambia, ed è bello così.

Parola pubblicata il 08 Gennaio 2021