Gaffe

gàf

Significato Atto, comportamento maldestro, inadatto al momento, inteso soprattutto in tono scherzoso e in ambito mondano

Etimologia prestito dal francese gaffe, dall’antico provenzale gaf ‘uncino’.

  • «Mamma che gaffe. Al taglio della torta, il testimone ha chiamato la sposa col nome della vecchia fidanzata dello sposo.»

Il rapporto che l’italiano ha col francese è fraterno, e come tanti rapporti fraterni ha alcuni tratti paradossali, buffi, di quelli che maturano in una vita insieme — una vita che però è di mille anni.
Non è un mistero che le parole francesi, in italiano e non solo, abbiano una patente di eleganza: anche quando solo perfettamente omologhe, frutti dello stesso ramo etimologico, la variante francese darà sempre un’idea di copertura, di levità, di finezza.

A guardare bene, la gaffa c’è anche in italiano. È un’asta uncinata usata in marineria per manovrare, accostando o scostando lo scafo dal molo, o per prendere cime — in genere per afferrare. È un derivato dell’antico provenzale gaf, ‘gancio’, di origine che sembra ancora non chiarita, forse germanica. E di qui nasce anche il francese gaffe.

Ora, la gaffe non è solo il comportamento inopportuno, incauto, goffo. Il suo punto di fuoco è l’imbarazzo che genera. Come abbiamo avuto modo di notare tante volte, l’importuno ha una grande varietà di declinazioni: lo spettro di comportamenti e azioni in ballo è ampio. Nell’occasione sociale, se vengo vestito cencioso posso fare una figuraccia, può essere inopportuno il mio grave ritardo, e se sono sboccato mi può scappare uno sproposito, se commetto un errore su un nome posso fare una topica. Ma niente di questo è propriamente una gaffe.

C’è qualcosa di plateale, nella gaffe, un tratto addirittura teatrale: deve avere lo smalto di una battuta da sceneggiatura. Lo sbaglio deve essere ricco di implicazioni: il lapsus è una gaffe se dà alla frase un doppio senso volgare o rivelatorio, l’errore se il nome viene sbagliato in modo clamoroso e ridicolo, è una gaffe il malapropismo significativo e imbarazzante. L’espressione licenziosa non è una gaffe se proferita in segreto al rude compare, lo è se viene detta a voce troppo alta o all’orecchio sbagliato; pulirsi la bocca con la manica alla cena elegante non è tanto una gaffe, piuttosto è una gaffe pulirsi al vestito della commensale pensando sia il tovagliolo. È una gaffe squadernare candidamente una cosa che ogni presente stava tacendo per tatto, fare una domanda esplicita che ogni altra persona lì sa non essere il caso di fare.

Eccola la gaffe: una distrazione, un’espressione di goffaggine che genera imbarazzo, colta in un tono scherzoso e in un’atmosfera mondana. Già perché la gaffe è vista in modo ridente, se non proprio con simpatia. Non ha il respiro severo di spropositi e figuracce; sa prendere quasi un profilo caratteriale, imbarazzante sì ma non sgradevole.

Sì, bene, bellissimo equilibrio, grande risorsa, ma la gaffa che c’entra? Ah, mistero. Forse è stata tirata in mezzo perché l’asta uncinata è intrinsecamente uno strumento indelicato, forse perché diventa il referente di bruschi usi marinareschi, o magari fa il paio con apprendisti maldestri che venivano messi a usarla: è sempre difficile afferrare i trascorsi degli usi volgari, che non si sono stratificati coerentemente nei sedimenti presenti dei libri, ma che sono maturati volando di barca in barca.

Parola pubblicata il 21 Giugno 2022