Gargolla
gar-gòl-la
Significato Doccione scolpito in forma bestiale, umana o fantastica
Etimologia dal francese gargouille ‘doccione’, di probabile origine onomatopeica a partire dalla sequenza garg-.
- «Ai lati del municipio ci sono delle simpatiche gargolle moderne a forma di drago.»
Parola pubblicata il 12 Agosto 2022
Verrebbe da dire che il nome più diffuso di questa cosa è quello inglese, gargoyle. Un successo dovuto al carisma che i gargoyle hanno in narrazioni del mostruoso, di gusto gotico, in cui vestono i panni di statue animate dalle fattezze demoniache, benigne o maligne — ma va detto che si tratta di un successo molto recente, sulla scena internazionale e nazionale: fino al Duemila non destavano l’interesse popolare che destano oggi. Ma iniziamo dal principio.
Se, fatto un bel tetto, si lascia la pioggia scrosciar giù per le pareti esterne dell’edificio, questo ne soffrirà e si ammalorerà. Perciò da millenni costruiamo gronde che proiettino l’acqua piovana lontano dalle pareti; le parti terminali dei sistemi di grondaie che slanciano via l’acqua sono dette ‘doccioni’. È il loro nome (reinterpretato erroneamente come accrescitivo, e derivato invece dall’accusativo ductionem ‘conduttura’), che viene ridotto alla domestica ‘doccia’ che conosciamo — e in effetti i doccioni, se ci passi sotto quando piove, ti fanno una bella doccia, no?
Ma che fare? Lasciare il doccione spoglio? O cogliere la necessità della sua ingombrante presenza che mette a repentaglio la linea dell’edificio come opportunità d’ornamento?
Di doccioni foggiati a testa di animale, d’umano o di creatura fantastica ne è piena l’antichità, dall’Etiopia all’Egitto alla Grecia all’Italia — quindi non siamo davanti a una trovata nuova della fantasia medievale. Certo però l’architettura di questo periodo, specie gotica, ha trovato nei doccioni un elemento caratteristico e un canale espressivo a cui dedicare energie speciali. Anche narrative, beninteso: la predilezione per doccioni a forma di drago in Francia si fa risalire alla leggenda di san Romano di Rouen che sconfigge il drago e ne appende poi la testa alle mura della città. Sono storie mitiche, raccontate e riraccontate fra versioni e sovrascrizioni diverse — e il nome della gargolla (gargouille in francese) non nasce dalla gran gola del drago o idee simili. L’origine ci è molto più vicina, di una poesia molto più delicata, accessibile e bella.
‘Garg-’ è una sequenza che nelle lingue derivate dal latino parla in maniera ricorrente di gole e di liquidi che vi scorrono dentro, anzi specie del rumore che fanno — il quadro etimologico è complesso e dibattuto, ma dovrebbe trattarsi di un’origine onomatopeica (pensiamo al bere a garganella). La gargolla è un doccione che gode di una personificazione: non butta acqua, ma la rigurgita da una gola gorgogliante. Prende un nome diverso dal doccione perché la sua maschera la anima, le dà un’identità. Di qui la specificità delle migliaia di gargolle che ornano gli edifici (antichi ma non solo) e che popolano le città d’Europa.
Un passaggio essenziale per l’ulteriore mostrificazione delle gargolle è l’abbandono della funzione di doccione: devono lasciare la funzione architettonica per conquistarsi l’indipendenza. Per questo è probabilmente stato determinante l’intervento di restauro ottocentesco di Notre Dame di Parigi, celeberrima per le sue gargolle: fra gli altri l’architetto Eugène Viollet-le-Duc, celebre per i suoi restauri che sacrificarono la fedeltà storica sull’altare della sua fantasia, decise di aggiungere anche un gran numero di statue meglio dette chimere, puramente ornamentali, tendenzialmente spaventose — e più simili ai gargoyle nel nostro immaginario attuale. Certo più delle gargolle originali, che in pieno spirito medievale, sputando acqua, tiravano in ballo monaci, bestie e mostri in una ridda di significati ironici e allegorici.