Idolo

Le parole e le cose

ì-do-lo

Significato Simulacro oggetto di adorazione; persona o cosa amata, oggetto di culto; nella filosofia di Francis Bacon, pregiudizio mentale che informa e deforma la percezione della realtà

Etimologia voce dotta recuperata dal latino idòlum, prestito dal greco éidolon ‘immagine, simulacro’ a sua volta da êidos ‘aspetto, figura’.

  • «Ed egli distrusse gli idoli pagani, predicando l'unica vera fede.»
  • «È tipo l'idolo delle teenager, non lo sapevi?»

Non ha proprio l'aria di una parola filosofica, idolo. Le accezioni odierne sono debitrici del latino ecclesiastico, in cui idòlum era un'immagine o oggetto rappresentante divinità pagane, un feticcio. Per estensione, poi, diciamo che certi cantanti sono gli idoli delle folle, o che quello scrittore è il nostro idolo, ma anche che il successo, o il denaro, sono idoli contemporanei – insomma, definiamo idolo tutto ciò che, a qualsiasi titolo, è oggetto di adorazione. Scavando nell'etimo, emerge che il latino idòlum viene dal greco èidolon 'immagine, simulacro', a sua volta da èidos 'aspetto, figura' (che ha la stessa radice di idea). Naturale, quindi, che il filosofo greco Democrito, ritenendo che flussi di atomi provenienti dalle cose percepite si staccassero dagli oggetti e andassero a formarne immagini fedeli nella nostra mente, chiamasse quelle immagini èidola.

A risultare interessante, però, è soprattutto l'uso moderno di questa parola ad opera di Francesco Bacone (Francis Bacon), filosofo e politico inglese vissuto tra Cinque e Seicento. Rispetto a Democrito, Bacone aveva un'idea della conoscenza decisamente più problematica: la nostra mente non riflette fedelmente la realtà esterna; è uno specchio deformante, che inserisce indebitamente nella realtà elementi soggettivi ad essa estranei. Questi elementi – veri e propri pre-giudizi, anticipazioni abusive che ci impediscono di vedere le cose per ciò che sono in sé – Bacone li chiama idòla, idoli, suddividendoli in quattro categorie.

Gli idoli della tribù – dove per 'tribù' s'intende quella umana – sono intralci alla conoscenza che ci derivano dalla nostra natura, e perciò sono comuni a tutti. L'intelletto umano tende a trarre conclusioni affrettate e premature da pochi indizi, ad attribuire alla realtà maggior ordine e regolarità di quanta non ve ne sia effettivamente, e soprattutto a ritenere veri i dati che risultano piacevoli e gratificanti, convalidandoli anche a dispetto delle evidenze contrarie – insomma, ognuno crede a ciò che vuol credere: oggi lo chiamiamo pregiudizio di conferma.

Gli idoli della spelonca – dove la spelonca è la nostra interiorità, «in cui la luce della natura si disperde e si corrompe» – sono gli ostacoli alla conoscenza dovuti alle caratteristiche individuali: carattere, abitudini, educazione ricevuta, cultura, contesto in cui si vive, che filtrano e tingono di mille colori le nostre visioni del mondo.

Quelli che Bacone chiama idoli della piazza (o del mercato) sono i condizionamenti dovuti al linguaggio, il quale è sì un prodotto della mente, ma a sua volta la influenza, la indirizza – di più: le parole «fan gran violenza all'intelletto e turbano i ragionamenti», perché, riflettendo il senso comune, sono spesso ambigue, imprecise e fuorvianti; insomma, lungi dall'essere docile utensile, la lingua è spesso uno strumento starato: molti errori di pensiero derivano da errori di linguaggio.

Infine, gli idoli del teatro sono quelli veicolati dalle dottrine filosofiche, che secondo Bacone sono «come altrettante favole preparate per essere rappresentate sulla scena, buone a costruire mondi di finzioni e di teatro».

Bacone condannava quasi in blocco la filosofia passata, a suo avviso astratta e sterilmente verbosa, in favore di una conoscenza pratica, tesa al miglioramento della vita umana, anzi, all’«ampliamento dei confini dell'impero umano». I veri sapienti, per lui, non sono i filosofi, che passano il tempo a sottilizzare su questioni inutili, ma gli scienziati, che osservano la natura per capirne le leggi e sfruttarle a beneficio dell'umanità. Perché l'osservazione sia produttiva, però, serve un metodo di ricerca rigoroso che porti ad una totale rifondazione del sapere, rispetto alla quale la teoria degli idòla costituisce l'indispensabile parte distruttiva. L'ideale di Bacone è ben rappresentato da una sua operetta intitolata Nuova Atlantide, che descrive un'isola immaginaria, Bensalem, i cui pacifici e industriosi abitanti sono dediti alle scienze sperimentali, allo scopo di migliorare la vita di tutti. Questo era il sogno di Bacone: trasformare il mondo in una grande Bensalem grazie alla scienza. Ma per farlo, bisognava anzitutto che gli esseri umani si sbarazzassero degli idoli.

Francis Bacon, qui sopra ritratto dal pittore fiammingo Paul von Somer nel 1617, con sguardo languido e ricchi panni si appresta a distruggere idoli e filosofie del passato.

Oggi la scienza ha fatto enormi progressi rispetto ai tempi di Bacone, eppure il mondo è ben lontano dall'utopia da lui vagheggiata – e soprattutto, quegl'idoli che aveva magistralmente descritti sono vivi e vegeti. Alcuni, anzi, si sono persino rimpinguati oggigiorno, quando i meccanismi peculiari delle reti sociali rendono l'abbondanza d'informazioni funzionale non a capire di più e meglio, bensì a fornire conferme a ciò che ognuno pensava già – a rafforzare, cioè, gli idoli della tribù. Che cosa è andato storto? Forse, è proprio l'idea di fondo – la pretesa baconiana di rottamare quei filtri o specchi distorcenti che chiamava idoli – a essere sbagliata, nel presumere che gli esseri umani possano trasformarsi in delle specie di osservatori oggettivi, disincarnati, divini. Forse, senza quei filtri e quegli specchi, semplicemente, non saremmo né capiremmo nulla. Forse, non possiamo vivere senza idoli. Migliorare la spelonca, la piazza e il teatro, però, sì.

Parola pubblicata il 17 Maggio 2022

Le parole e le cose - con Salvatore Congiu

I termini della filosofia, dai presocratici ai giorni nostri: l’obiettivo è sfilare parole e concetti dalle cassette degli attrezzi dei filosofi per metterli nelle nostre — rendendo ragione della dottrina con la quotidianità. Con Salvatore Congiu, un martedì su due.