Inconfutabile

Le parole e le cose

in-con-fu-tà-bi-le

Significato Che non può essere dimostrato infondato, erroneo

Etimologia da confutabile, derivato di confutare, che è voce dotta recuperata dal latino confutare ‘abbattere, reprimere’, con prefisso negativo in-.

  • «Il mio sistema di pensiero è inconfutabile. Mettilo alla prova!»

«L'inconfutabilità di una teoria non è (come spesso si crede) un pregio, bensì un difetto».

Cos’è, uno scherzo? Un paradosso? Una boutade d’occasione? L’inconfutabilità – l’essere inattaccabile dalle obiezioni, impossibile da sbugiardare, solido come una roccia ad ogni tentativo di attacco o demolizione – non è forse l’ambizione di ogni ragionamento o teoria, tanto più in ambito scientifico? Qui invece si sostiene che gli scienziati, invece di sforzarsi affinché le loro teorie siano verificate dai fatti, dovrebbero ingegnarsi per tentare di falsificarle. Ma se ad affermarlo è un filosofo della scienza, Karl Raimund Popper (1902-1994), prima di dargli del pazzo è meglio approfondire la questione.

Partiamo da un’altra sua asserzione apparentemente paradossale: «Non c’è alcun metodo (…) per accertare la verità di un’ipotesi scientifica, cioè nessun metodo di verificazione». Si dirà: e gli esperimenti, le conferme ottenute dall’osservazione empirica? Secondo Popper, però, nessuna legge universale può essere dimostrata vera da osservazioni empiriche particolari, perché «per quanto numerosi siano i casi di cigni bianchi che possiamo aver osservato, ciò non giustifica la conclusione che tutti i cigni sono bianchi». Ciò che i riscontri empirici possono fare non è verificare una teoria ma falsificarla, dimostrarla falsa. Esiste un’asimmetria essenziale tra verificabilità e falsificabilità: una legge universale non può mai essere verificata da osservazioni particolari, anche numerosissime, ma può essere falsificata da una sola osservazione empirica che la contraddica.

E’ idea diffusa che la scienza proceda per induzione: dall’osservazione di casi particolari alla formulazione di leggi generali. Per Popper, invece, essa procede deduttivamente, non partendo dall’osservazione ma da un problema, sul quale si formula un’ipotesi da cui si deducono delle conseguenze, poi controllate mediante l’esperienza empirica. Quest’ultima, quindi, non ha il compito di verificare le teorie scientifiche, ma solo – eventualmente – di confutarle. Perciò il vero scienziato non cerca conferme, bensì confutazioni della sua teoria, così da trovarne di sempre migliori. È una concezione della scienza spietata, quella popperiana, una lotta darwiniana per la sopravvivenza della teoria più adatta, in cui per affermarsi bisogna sopprimere il proprio predecessore.

Karl Popper negli anni ‘80, con lo sguardo di chi ha seri dubbi sulle tue induzioni.

Popper raccontò che la scintilla per l’elaborazione del suo approccio – detto fallibilismo o falsificazionismo – era scoccata in lui nel 1919, sentendo Einstein affermare a una conferenza che «se non esistesse lo spostamento delle righe spettrali verso il rosso a opera del campo gravitazionale, allora la teoria della relatività generale risulterebbe insostenibile». Sconvolto e ammirato da questa postura intellettuale, Popper ne concluse che l'atteggiamento scientifico era quello «critico, che non andava in cerca di verificazioni, bensì di controlli cruciali» che «avrebbero potuto confutare la teoria messa alla prova, pur non potendola mai confermare definitivamente».

Conferme definitive, infatti, nell’epistemologia popperiana non si danno: per la visione fallibilista – che poi «non è nient’altro che il non-sapere socratico» – la scienza è sempre congetturale; «non poggia su un solido strato di roccia», ma è «come un edificio costruito su palafitte». Il razionalismo critico di Popper consiste nel non pensare mai di aver raggiunto verità essenziali e definitive: «un razionalista è semplicemente una persona a cui importa più di imparare che di avere ragione». Proprio come Einstein, il quale – lungi dall’essere innamorato delle sue idee e difenderle a spada tratta – cercava continuamente di «uccidere le sue teorie».

Qui sta la differenza, secondo Popper, tra la relatività di Einstein e dottrine come il marxismo o la psicanalisi: queste ultime, nel secolo scorso, «sembravano in grado di spiegare praticamente tutto ciò che accadeva nei campi cui si riferivano», tanto che «il mondo pullulava di verifiche della teoria». Quest’immancabile successo, però, quest’incessante adeguatezza, lungi dall’entusiasmare il Nostro ne fomentavano il sospetto. A differenza della teoria della relatività, infatti, a suo avviso marxismo e psicanalisi non sono scientifici, perché una teoria è scientifica se è falsificabile, cioè se esistono dei suoi falsificatori potenziali, osservazioni o asserzioni di base che la contraddicono – cosa che a queste dottrine, evidentemente, mancava. Mentre lo scienziato, quindi, è sempre in cerca di confutazioni delle sue ipotesi, chi sostiene teorie pseudoscientifiche è sempre a caccia di riscontri – e immancabilmente li trova, dato che ignora o sminuisce i dati discordanti (è il cosiddetto pregiudizio di conferma).

Ma la speculazione dell’eclettico Popper non si è fermata all’epistemologia, prendendo col passare degli anni una coloritura sempre più politica, con un’esplicita connessione tra i due campi: l’atteggiamento fallibilista, che vede la scienza come ricerca senza fine e senza verità assolute, essendo per sua natura antidogmatico e antiautoritario costituisce il miglior fondamento intellettuale della ‘società aperta’, pienamente democratica e tollerante.

Insomma, tutto si tiene in Popper, e pare proprio che il mondo pulluli di verifiche della sua teoria, che il suo sia l’approccio ideale, la dottrina perfetta per l’oggi e il domani. No, piano con gli entusiasmi – ce lo dice lui stesso: «Ogni qualvolta una teoria ti sembra essere l'unica possibile, prendilo come un segno che non hai capito né la teoria né il problema che si intendeva risolvere».

Parola pubblicata il 15 Agosto 2023

Le parole e le cose - con Salvatore Congiu

I termini della filosofia, dai presocratici ai giorni nostri: l’obiettivo è sfilare parole e concetti dalle cassette degli attrezzi dei filosofi per metterli nelle nostre — rendendo ragione della dottrina con la quotidianità. Con Salvatore Congiu, un martedì su due.