Istigare

i-sti-gà-re (io ì-sti-go)

Significato Spingere a qualcosa di riprovevole; suscitare

Etimologia voce dotta recuperata dal latino instigàre ‘pungere, stimolare’, propriamente ‘punzecchiare’, da una forma durativa di stigare ‘pungere’, derivato dalla radice protoindoeuropea ricostruita steig- col significato di ‘punta acuminata’.

È bello avere un verbo di così ampio respiro ma con una precisione così schietta: spingere a qualcosa di riprovevole. Nessuna incertezza o sbavatura di significato. Anzi, proprio per questo tratto finisce per torreggiare fra i suoi sinonimi — in un confronto di importanza profonda. Ancora più importante se, per il ruolo che ha questo verbo nel discorso pubblico e giuridico, è percepito come appartenente a quel registro accessibilmente alto che ha l’aria di distinguere chi parla e scrive bene da chi lo fa in maniera più approssimativa.

La sua origine è di quelle forti di una poesia antica che nei secoli si fissa e normalizza: racconta lo stimolare verso qualcosa pungendo. Un’immagine che colleghiamo subito allo spronare — che però, vediamo bene, oggi è usato per significare uno spingere a fare qualcosa di tendenzialmente positivo, generalmente ben considerato.

L’indurre si bea in una genericità che non predica in sé niente di buono o cattivo, anche se volentieri ha un che di machiavellico, e si tiene solo lontano dalla violenza fisica esplicita; il suggestionare mira a formare una parvenza di autenticità della scelta, generando con sottigliezza condizionamenti, inclinazioni, percezioni. Invece l’istigare comunica con forza il tratto di una capacità diretta e concreta nella determinazione del comportamento o del fenomeno riprovevole desiderato. C’è qualcosa di pastorale, nell’istigare — che può non essere completamente esplicito, ma ha un tratto di padronanza scafata delle cause e degli effetti.

Finisce per confinare, piuttosto, con il sobillare e con l’aizzare. Però il sobillare ha un ineludibile profilo finalistico di ribellione, di sedizione: si sobillano gruppi, masse alla rivolta; ed è tendenzialmente clandestino, per evidenti questioni di fisiologia della repressione. E l’aizzare invece ha il carattere di un’evidenza aggressiva — quanto può esserlo l’aizzare per eccellenza, l’aizzare i cani: direziona una rabbia che sfocia in offesa, in violenza, in caccia. Parole tagliate con dettagli molto più particolari, rispetto all’istigare.

Si può istigare una persona o un gruppo a commettere un delitto, o a prendersi una futile vendetta; si può istigare alla ribellione dura e alla dura repressione; istigare alla violenza e al consumo; istiga all’odio chi vi lucra, e tu, con le tue lusinghe e sordide blandizie, mi istighi a riordinare le patate fritte.

Ha anche voluto dire un più vago e sospeso ‘suscitare’ — il panorama mi istiga una pace sublime, l’arte del vetraio mi istiga una meraviglia incredula, e la professoressa ci istiga una passione longeva per la lettura, o il viaggio, o la storia. Però sono usi letterari, che si fanno notare per la loro ricercata dissonanza da quello comune.

Insomma, è una parola che trova la sua forza speciale nell’equilibrio semantico fra specificità e versatilità, fra vigorosa incisività di significato e pulizia di registro — che non si fa tanto notare, ma che imposta un tono al discorso.

Parola pubblicata il 17 Novembre 2021