Marrimento
Scorci letterari
mar-ri-mén-to
Significato Dolore, turbamento, sbigottimento
Etimologia dal provenzale marriment, da marrir ‘affliggersi’.
Parola pubblicata il 27 Novembre 2017
Scorci letterari - con Lucia Masetti
Con Lucia Masetti, dottoranda in letteratura italiana, uno scorcio letterario sulla parola del giorno.
Non è una parola che useremo oggi facendo la spesa (spero). Però è in grado di sorprenderci, e di farci capire meglio come è che certi termini e certi concetti, nei secoli, sono emersi: le parole che troviamo nel dizionario e che ci appartengono sono gli ultimi fotogrammi di una lunga vicenda.
Lo smarrimento ci è consueto - a livello emotivo ma intendo soprattutto nella dimensione lessicale. Sappiamo che cosa vuol dire. Il marrimento no, anche se ne intuiamo la parentela. La differenza che ci balza agli occhi è un semplice prefisso, esito di un originario ‘ex-’ rafforzativo: se lo smarrimento ci arriva attraverso il francese antico esmarrir, col significato di ‘affliggersi’, il marrimento ci giunge dal provenzale marrir, col medesimo significato. Si sono distinti da una radice comune che pare essere l’ipotetica voce francone marrjan ‘essere di cattivo umore’.
Per quanto lo smarrimento abbia preso oggi dei connotati concentrati su un turbamento disorientato, la differenza col marrimento non è poi molta. Questo è il dolore, il turbamento, la costernazione sbigottita - significati che pure riconduciamo allo smarrimento. Possiamo parlare del marrimento di quando per cortesia dobbiamo offrire l’ultima fetta di crostata (la volevo io), la notizia ferale fa calare un pesante marrimento, e per il collega lamentoso ogni imprevisto è fonte di drammatico marrimento. Rispetto allo smarrimento riesce senza dubbio più ricercata, sorprendente - e per quanto abbia quel gusto dell’antiquariato che sfuma in archeologia, mantiene il pregio di essere facilmente comprensibile. Dopotutto, se c’è lo smarrimento, è ovvio che ci sia anche il marrimento, no? E il brodo sarà più o meno quello.
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(Compiuta Donzella, A la stagione che ‘l mondo foglia e fiora, vv. 5-12)
La franca gente tutta s’innamora,
e di servir ciascun tragges’ inanti,
ed ogni damigella in gioia dimora;
e me, n’abondan marrimenti e pianti.
Ca lo mio padre m’ha messa ‘n errore,
e tenemi sovente in forte doglia:
donar mi vole a mia forza segnore,
ed io di ciò non ho disio né voglia […]
Compiuta Donzella è la prima poetessa della nostra storia, sbucata come un fungo in un panorama ancora esclusivamente maschile. Vive in Toscana intorno alla metà del 1200, e nei suoi sonetti dice di volersi fare monaca; tuttavia il padre le impone un “signore”, cioè un marito. Insomma, una monaca di Monza al rovescio.
Qui poi il suo dolore è inasprito dal contrasto con la natura che, come lei, è in pieno rigoglio: in primavera infatti tutta la gente nobile (“franca”) si dispone (“tragges’ inanti”) all’amore. A Compiuta invece è riservato solo “marrimento”: un provenzalismo che significa tristezza, ma che evoca anche lo smarrimento di trovarsi imprigionata in un vicolo cieco (“errore”).
Un vocabolo così ricercato è segno di ottima cultura, il che è raro in una donna dell’epoca. Tanto che alcuni ritengono Compiuta un personaggio inventato, per divertimento, dai poeti toscani. Il suo stesso nome sembra troppo bello per essere vero, anche se potrebbe essere semplicemente lo pseudonimo di una donna reale.
Compiuta significa infatti “perfetta”, cioè virtuosa, realizzata. E, nella poesia delle origini, la donna sembra appunto facilitata a raggiungere il compimento affettivo-spirituale, mentre l’uomo tende a muoversi nella sfera più superficiale dell’azione.
C’è però un’amara ironia: questa donna “Compiuta” dichiara proprio l’impossibilità di realizzarsi, o quantomeno di farlo come vorrebbe. Tuttavia, forse una caratteristica propria della donna è trovare delle vie alternative di realizzazione anche nelle circostanze avverse: attraverso la poesia, per esempio.
In tal modo Compiuta ci mostra come una donna possa muoversi con autonomia in un ambiente socio-culturale maschile, reinterpretandolo in modo peculiare. De Sanctis infatti loda in lei “una vivacità ed un colorito, che suscita le più vive impressioni”; e proprio in tale “perfetta semplicità” si coglie il tocco femminile che la distingue dai suoi contemporanei.