Molcere

mól-ce-re

Significato Allietare, dilettare; addolcire, lenire

Etimologia voce dotta recuperata dal latino mulcère ‘carezzare’, variante di mulgère ‘mungere’.

  • «La prospettiva del pranzo molce anche lo spirito più incupito.»

Può passare momenti di vasta espansione e di regressione lenta, l’uso di una parola. Il verbo molcere ci si presenta desueto: è un termine che ha furoreggiato nell’Ottocento, ma oggi non si usa né si sente spesso. Eppure resta nella lingua alta, e resta una parola che ha una forza specifica.

Esistono significanti e significati. Il significante è l’aspetto grafico o fonico della parola (come questa che vedi scritta o ascolti), il significato è il suo contenuto semantico, il concetto che esprime. Però non dobbiamo pensare che queste due realtà siano scollegate e indipendenti, che sia un gioco in cui arbitrariamente si mette un oggetto qualsiasi in una qualsiasi scatola: la consuetudine, la regolarità, l’aspettativa fanno sì che un certo significante — col suo suono, con la sua forma — ci porti ad attenderci un certo significato, e che quel significato sia in una certa misura plasmato a ritroso dal significante. È anche questo uno dei modi in cui operano le connessioni fonosimboliche, che di solito buttiamo tutte nel calderone delle ‘onomatopee’.

Poniamo — non è affatto assurdo — che questa sia la prima volta che sentiamo parlare del verbo ‘molcere’. L’assenza di spigoli e asperità nel suono ci fa subito indovinare una dolcezza d’azione (anche senza parentela, com’è simile allo stesso dolce!), e l’etimologia ci aiuta a chiarire l’impressione: il latino mulcère è un ‘carezzare’, e — imperniate su un simile ‘strofinare’ — si presenta come variante di mulgère, cioè ‘mungere’. Già in latino mulcere ha tutti i significati figurati che prenderà il molcere italiano.

Allieta, diletta, dà una sensazione piacevole. Posso parlare di come una musica, o un odore di cibo mólca gli spiriti della gente che affluisce nella piazza, di come ti molce il cuore la prima ciliegia della stagione, dei raggi del sole che molcono i fianchi delle colline. C’è un trattar bene speciale, in questo verbo.

In conseguenza immediata, il molcere si fa lenire, addolcire. La tua vicinanza molce il mio dolore, la prospettiva del risultato molce l’affanno. In effetti, il campo d’azione del molcere resta quello del carezzare — con un’ampiezza, una versatilità delicata.

È lapalissiano dire che questa parola si può usare serenamente nei contesti che lo permettono — che siano alti o in cui ci sia spazio per la decodifica dei termini; ma ci dà anche delle garanzie sulla sua immediatezza. Inoltre, si mantiene discosta dalle affettazioni dell’allietare e del dilettare (a volte, sono verbi che sanno di musico al banchetto rinascimentale), ed è meno squadernata del lenire e dell’addolcire, che con le loro morbidezze evidenti evocano subito in negativo la durezza di un dolore. Insomma, è una risorsa bella, sfaccettata e con un certo potere, se si impara a usarla.

Parola pubblicata il 15 Marzo 2023