Lapalissiano

la-pa-lis-sià-no

Significato Ovvio, scontato, chiaro, evidente

Etimologia dal nome del maresciallo di Francia Jacques II de Chabannes, signore di La Palice, morto nel 1525.

  • «La soluzione dell'enigma era lapalissiana, è stato facile e davvero poco divertente.»

È una parola celebre per il suo essere raffinata in maniera brillante, ostentata e graffiante, e per la storia magnetica e curiosissima che nasconde (spesso narrata in maniera sbrigativa). Cerchiamo di leggerci qualcosa di più sottile, perché è una parola che a guardare bene ci racconta l’imponderabilità delle sorti umane, e di quelle dei nomi che portiamo. Anche oggi ci concediamo un giro più panoramico.

Questa storia inizia a Pavia poco meno di cinquecento anni fa. Siamo nel mezzo di quel lungo periodo in cui si svolgono le cosiddette Guerre d’Italia, in cui la penisola fu battuta da conflitti militari incessanti, con grande impegno di forze straniere e grande spargimento di sangue, mentre fioriva il Rinascimento. Era l’inizio del 1525, e sullo scacchiere italiano si fronteggiavano le forze francesi di Francesco I, scese a Milano, e quelle imperiali di Carlo V. Il 24 febbraio fu combattuta una confusa battaglia sotto le mura di Pavia, che si concluse con l’esito sorprendente di una disfatta francese subitanea e così totale che re Francesco I, presente, fu fatto prigioniero.

Anche Jacques II de Chabannes, maresciallo di Francia e signore di La Palice (amena località del centro della Francia), fu fatto prigioniero. Secondo alcune fonti fu semplicemente giustiziato dopo qualche tempo, secondo altre fu ucciso da chi se lo contendeva come ostaggio — per lui si sarebbe potuto chiedere un ricco riscatto. Ma doveva essere un comandante rimasto nel cuore dei suoi uomini, perché furono composti dei canti, per la sua morte, canti che magari romanzavano la storia con una morte in battaglia, con devota ingenuità.

Questa sarebbe rimasta una pagina triste e amena di una cronaca distante, destinata a scolorire come tutto, se non fosse stato proprio per uno di questi canti, e in particolare per una sciocchezza che si tramanda recitasse — e che ha reso una strofa abbastanza resistente all’oblio. Spesso è citata così:

Monsieur d’la Palisse est mort,
il est mort devant Pavie,
Un quart d’heure avant sa mort,
il était encore en vie.

[Monsieur de La Palice è morto, è morto davanti a Pavia, un quarto d’ora prima della sua morte era ancora in vita.] C’è chi dice che questa versione tramandata del canto sia una corruzione rispetto alla versione originale, che forse invece di dire un’ovvietà intendeva dire che ‘un quarto d’ora prima di morire faceva ancora invidia’, (magari un il serait encore en vie ha sostituito un sensato Il ferait encore envie) intendendo che nonostante l’età era ancora un leone. C’è chi circostanza l’equivoco serait/ferait adducendo la somiglianza fra il carattere della f e quello antico della s, cioè ſ (la cosiddetta ‘s lunga’, mentre la nostra è detta ‘finale’, ‘tonda’ o ‘corta’); c’è chi riporta variazioni sul tema e chi aggiunge che si tratti nientemeno dell’epitaffio di La Palice. La nebbia è fitta ma la questione, insomma, si fa intendere. Proseguiamo.

Sappiamo che questa storia di La Palice che era ancora vivo prima di morire trasformò il canto celebrativo in un canto popolare che scherzava su delle ovvietà — finché centocinquant’anni dopo (più o meno) un dotto buontempone dei tempi gloriosi di Luigi XIV, Bernard de la Monnoye, non raccolse e ampliò le ovvietà burlone di queste strofe. È una composizione in cui si dice che a La Palice non mancò nulla quando fu nell’abbondanza, che festeggiava il Martedì grasso alla vigilia delle Ceneri, che quando andava a pranzo dai vicini ci andava di persona, e che viaggiava sempre per mare quando non viaggiava per terra. È lungo una cinquantina di strofe, e si conclude dicendo:

Il mourut le vendredi,
le dernier jour de son âge,
S’il fut mort le samedi,
il eût vécu davantage.

[È morto di venerdì, ultimo giorno della sua età, se fosse morto di sabato, avrebbe vissuto di più.]
Ricaduto in un oblio carsico, pare la sua riscoperta ottocentesca si debba allo scrittore Edmond de Goncourt (quello del famoso premio letterario francese che porta il suo nome), come pure il conseguente conio del termine lapalissade, o l’espressione vérité de La Palice. Il riferimento prese piede in Francia e in diverse lingue per indicare una verità ovvia, scontata, chiara ed evidente: una tautologia. In italiano prende la forma di ‘lapalissiano’, attestato nel secondo decennio del Novecento.

Possiamo sorbirci le riflessioni lapalissiane del conoscente alla festa, che avrebbe visto più mondo se avesse viaggiato di più; è lapalissiano dove voglia andare a parare chi ha scritto la serie scadente, e quali colpi di scena abbia goffamente preparato; e già a un primo sopralluogo può risultare lapalissiano di chi sia la responsabilità del delitto.

È un termine versatile, ma estremamente connotato: il giudizio di ovvietà è un giudizio particolare, che muove delle energie razionali e logiche, e che però spesso non è spassionato, e ha un tratto di padronanza, se non di supponenza. Dire che qualcosa è scontato contrabbanda una certa impressione d’intelligenza, perfino di sprezzatura e superiorità. Avere una parola che comunica questo tipo di giudizio attingendo a un registro ricercato e lepido, a un filone di dottrina alta per quanto ormai diffusa, crea una sinergia particolarmente efficace e apprezzata.

Jacques de La Palice non ebbe niente a che fare con le qualità del lapalissiano — nessuna delle sue azioni in vita lo ha avvicinato all’ovvio più del normale. Anzi fu un signore stimato per onestà, capacità e onore. Il pungente Bernard de la Monnoye non seppe trattenersi dall’irreggimentare lo scherzo casuale che si era generato, e ne usò la figura — lontana quanto lo sarebbe da noi oggi quella di un eroe del Risorgimento — per un canto buffonesco.
Fu forse irriverente; ma è così che il nome dimenticabile di un antico maresciallo di Francia morto a Pavia diventa eterno e internazionale — e ragionare sulla curiosa qualità che porta il suo nome può anche perpetuare il suo ricordo di persona stimata. Invece Bernard de la Monnoye, Accademico di Francia, non se lo fila più nessuno.

Parola pubblicata il 21 Settembre 2022