Panfilo
La strana coppia
pàn-fi-lo
Significato Yacht, imbarcazione di lusso
Etimologia dal greco bizantino pámphylos ‘(nave) della Panfilia’.
Parola pubblicata il 17 Marzo 2020
La strana coppia - con Salvatore Congiu
Parole sorelle, che dalla stessa origine fioriscono in lingue diverse, possono prendere le pieghe di significato più impensate. Con Salvatore Congiu, insegnante e poliglotta, un martedì su due vedremo una di queste strane coppie, in cui la parola italiana si confronterà con la sorella inglese, francese, spagnola o tedesca.
Se, trovandovi in terra spagnola, qualcuno dovesse darvi del pánfilo, non correte subito allo specchio per verificare se le vostre forme, negli ultimi tempi, si siano catastroficamente dilatate: intende dire che siete un po’ grulli, tontoloni. Ed è inutile che vi lambicchiate il cervello cercando improbabili legami tra la semplicioneria e uno yacht: non ve n’è alcuno. La strana e spassosissima coppia formata dal panfilo italico e dall’ispanico pánfilo è una coppia di fatto, giacché i coniugi non sono uniti nel sacro vincolo dell’etimologia – e perciò vanno esaminati uno alla volta. Mettiamoci subito in mare.
Il panfilo (o panfilio) era, nel Basso Medioevo, una nave simile alla galea. Introdotta nel Mediterraneo dai Genovesi, era usata a scopo sia mercantile sia bellico, e il suo nome derivava dal greco bizantino pámphylos, ‘(nave) della Panfilia’. In realtà, non sappiamo quanto le navi della Panfilia somigliassero a quelle usate nel Mediterraneo molti secoli dopo; sappiamo però che la Panfilia era una regione costiera dell’Asia minore tra la Licia e la Cilicia, prospiciente Cipro, e che i suoi abitanti erano sin da tempo immemorabile mercanti, e quindi navigatori — nonché temibili pirati.
Ma com’è che le navi della Panfilia sono diventate lussuosi bastimenti di piacere per ricchi? Per errore, semplicemente: compilando il suo Vocabolario marino e militare (1889), Alberto Guglielmotti era alla ricerca di un’alternativa autoctona all’inglese yacht, imbarcazione da diporto dotata di ampie cabine, in voga tra aristocratici e opulenti borghesi sin dal Settecento. Ritenendo che gli antichi panfili fossero “navigli di sollazzo”, raccomandò l’uso di panfilio, “vocabolo pelasgo (…) esprimente l’uso di tutte le genti, ed anche di tutte le delizie”, che consentiva di non “strozzarsi nella gola quella ghiottornia dello Yacht con tutto il resto”.
Guglielmotti, naturalmente, conosceva benissimo la differenza, ma chissà che non fosse indotto in errore dalla suggestione di una parola greca quasi omografa di pámphylos, e cioè pámphilos. Il nome della Panfilia, in greco, era composto da pan ‘tutto’ e phylé ‘stirpe’, perché quella terra era un crogiolo di popoli di varia provenienza, mentre in pámphilos il secondo elemento è il ben noto affisso indicante amore o inclinazione per qualcosa (come in filosofia e bibliofilo). Il pámphilos, insomma, è colui che è ‘tutto amore’, amico di tutti, amato da tutti.
Non è certo un’idea nuova che l’estrema bontà sconfini nella dabbenaggine. Senza chiamare in causa l’idiota dostoevskiano, in cui la bontà assoluta si rivela assoluta inadeguatezza al mondo, basta considerare il nostro bonaccione, nel quale è evidente il passaggio dal buono al semplice, e dal semplice al semplicione. Nessuna lingua, però, lo ha sancito in modo così chiaro, a livello lessicale, come lo spagnolo. Ma soprattutto, dove mai saranno andati a pescare quella voce greca, per esprimere siffatta amara verità sulla natura umana? Secondo alcuni, la parola sarebbe approdata al castigliano attraverso una commedia latina medievale, Pamphilus seu de amore, per secoli assai popolare in Spagna, il cui giovane protagonista, Panfilo, si comporta in modo goffo con una ragazza di cui è innamorato (anche se poi, in verità, complici Venere e una vecchia mezzana, alla fine riesce ad ottenere il suo scopo assai disinvoltamente).
Panfilo, peraltro, è un nome che Boccaccio ha utilizzato più d’una volta nelle sue opere: nell’Elegia di Madonna Fiammetta è l’amante fedifrago; nell’onesta brigata del Decameron è quello che racconta le novelle più piccanti. Una buona scusa, in questi giorni di forzata segregazione domestica, per rileggere il capolavoro del Certaldese, e magari per raccontarsi storie, piccanti o no.