Sollazzo
sol-làz-zo
Significato Divertimento, piacere
Etimologia attraverso la forma tarda solatium, dal latino solacium ‘sollievo, conforto’ latino, derivato di solari ‘confortare, ristorare’.
- «Ah, che sollazzo giocare con voi!»
Parola pubblicata il 06 Febbraio 2025
Che sorte, quella del sollazzo. Non delle più fortunate, forse, a dispetto di premesse uniche.
Parliamo di divertimento, e al solito tirando in ballo un sinonimo più comune a fini di definizione già rischiamo di intorbidare le acque.
L’origine del sollazzo non coinvolge il sole, segno così schietto di piacevolezza. Il solacium latino è un derivato di solari, che è anche padre del ‘consolare’. Infatti solari è ristorare, confortare. E proviene da una radice indoeuropea che si può ricostruire come selh-, che in varie lingue dà adito a significati di riconciliazione, pietà, conforto. Ad esempio anche il greco hilarós, così allegro e gioviale, nonno del nostro ‘ilare’, appartiene a questa famiglia.
Non solo divertimento che fa vertere altrove la mente, non tanto svago vagante, né mero piacevole piacere. Il sollazzo è tutto questo, ma in una prospettiva — diciamola grossa — di riconciliazione col mondo.
Guerreggiamo continuamente con tanta parte della nostra realtà; e quello che il sollazzo offre non è una vacanza, ma una pace allegra. È l’occupazione piacevole e la condizione di piacere che determina. Non si focalizza sull’andare altrove con lo spirito, e questo è rilevante — perché riflettiamoci: la distrazione non è in sé gioia. In effetti sarebbe prossimo alla ricreazione, ma questa se l’è un po’ mangiata il lessico burocratico.
Ora ‘sollazzo’ è una parola che ha avuto un successo lunghissimo: c’è chi ne registra l’uso già nel Millecento, uso (se non mutuato) rafforzato da quello di solatz in provenzale, lingua che al tempo ebbe una letteratura maestosa e influente. E ancora non è segnalata come parola desueta — è solo un po’ ricercata. Ma però…
A dispetto di questa ricercatezza, non possiamo fare finta di non notare quella terminazione in -azzo, mero adattamento della forma tarda solacium, e che però risulta particolarmente aspra e sguaiata. Non è una novità che in particolare le terminazioni in -azzo, ma diciamo pure in genere quelle che includono questo genere di ‘z’ (tecnicamente affricata dentale sorda), improntino un tono basso o comico. Ad esempio Dante le usa in rima una sola volta, nel XXIII canto del Purgatorio, mettendole in bocca al suo amico Forese Donati, in un passaggio che si caratterizza proprio per un realismo mondano e spicciolo contrapposto alle altezze dello stile tragico.
Così il sollazzo finisce per appressarsi anche al comico, e al pruriginoso. Se dico che l’amico, discussa la tesi, si è dedicato a mesi di sollazzi, se dico che quei due stanno di sopra a sollazzarsi, se pregusto il sollazzo dei lavori da fare i giardino, o se confesso di trovare sollazzevoli certi passatempi tremendamente ripetitivi, una marezzatura d’ironia si fa sentire. E questo è normale e va benissimo, beninteso.
Certo che però riuscire a parlare in tutta serietà del sollazzo che mi dà una certa compagnia, di come la vita con te riservi continui sollazzi, del bel sollazzo di un gioco difficile, ci conserva il valore di questa parola, la sua specialissima prospettiva. Che sì, rifinisce a rivoli in divertimento svago piacere distrazione, ma a partire da un germe di conforto, che giunge all’allegria per la pace.