Pelago
pè-la-go
Significato Alto mare; grande quantità; insieme di situazioni complicate da cui si esce con difficoltà
Etimologia voce dotta recuperata dal latino pelagus ‘alto mare’, a sua volta dal greco pélagos.
- «Con questi argomenti entriamo in un pelago pieno di pericoli.»
Parola pubblicata il 05 Agosto 2023
Il concetto di ‘latinismo’ è piuttosto ampio: ci rientrano tanto elementi latini crudi, conservati esattamente così com’erano (pensiamo allo scilicet, al caveat, al verbatim), ma anche le voci dotte, cioè prestiti dal latino che sono stati adattati in italiano a partire dal medioevo. In questo secondo caso è comune che secoli d’uso abbiano levigato questo loro essere recupero artificiale da una lingua di alta dottrina: che ‘respiro’, ‘estro’, ‘martire’ appartengano a questo genere non è evidentissimo. (Per quanto, a chi sappia scendere un po’ dentro le parole, diventa più chiaro, più sensibile, come l’eredità di lessico popolare che è il cuore della nostra lingua sia fatta soprattutto di termini quotidiani, ruspanti, spesso accordati dallo spirito poetico collettivo delle stirpi da cui discendiamo. Ma non divaghiamo)
Fra i latinismi ci sono delle vie di mezzo: termini che non sono voci latine crude, e che però non sono mai entrate nella lingua più corrente — arroccate nell’aulico, nel letterario. Tanto che, per stare al nostro caso, è quasi più facile incontrare l’antecedente latino del pelagus (se si ha la strana fortuna di studiare questa lingua), piuttosto che il ‘pelago’ italiano. Qui va aggiunta una circostanza alla magia dei latinismi, che coinvolge in particolare quelli di questo genere: non si tolgono mai di dosso un’aura abbastanza familiare, ma ogni volta danno l’impressione di una ricercatezza e di una dottrina elevate — anche se in effetti hanno significati semplicissimi.
Già, il pelago non è che l’alto mare.
L’origine di pelagus è dibattuta: è pacifico che sia un prestito da greco pélagos, ma c’è chi vuole derivi da una radice indoeuropea col significato di ‘essere piatto’, e c’è chi invece ritiene che appartenga al sostrato pre-ellenico — a ciò che c’era prima delle migrazioni indoeuropee. Ad ogni modo, posso parlare di come l’amica intenda avventurarsi nel pelago col pedalò, di come aborrendo il pelago si resti a sguazzare nell’acqua bassa, o della barchetta dello zio, che per quanto piccoletta non teme il peggior pelago.
Ma la figura dell’alto mare è densa di significati, imperniati sostanzialmente sul suo essere tanto e sul suo essere luogo di pericolo — che in particolare non è facile lasciare. È normale pensare a una certa attitudine del mare a mangiarsi i destini umani, ma in modo forse più calzante il pelago si direbbe paradossalmente intricato. È un po’ come il secondo labirinto del brevissimo racconto di Borges I due re e i due labirinti («In Babilonia mi volesti perdere in un labirinto di bronzo con molte scale, porte e muri; ora l'Onnipotente ha voluto ch'io ti mostrassi il mio dove non ci sono scale da salire, né porte da forzare, né faticosi corridoi da percorrere, né muri che ti vietano il passo.» Poi gli sciolse i legami e lo abbandonò in mezzo al deserto [...].)
Così ci ritroviamo, certo, con un pelago di auguri per il nostro compleanno, o un pelago di lavoro accumulato al ritorno dalle ferie — ma altrimenti ci cacciamo in un pelago terrificante a voler riparare la serranda, che resterà pencolante per sempre, e ci godiamo il pelago di una lettura difficilissima e disorientante. Dopotutto, questi tratti ci sono familiari: non solo usiamo spesso il ‘mare’ come semplicissima iperbole di quantità, ma ci destreggiamo col verbo ‘impelagare’, che coglie proprio il pelago nella sua poetica, laboriosa inestricabilità.