Caveat

Latinismi crudi

cà-ve-at

Significato Ammonimento, avvertimento, diffida, riserva

Etimologia voce latina, propriamente ‘stia in guardia’, dal verbo cavère ‘fare attenzione’.

I latinismi crudi fanno sempre il loro effetto, ma ci sono alcuni ambiti di significato in cui mostrano uno smalto speciale. Perché certo, possono farci sembrare gente dotta, pensatrice fine, che attinge alla vastità dell’alta tradizione come alla propria dispensa — ma il loro impatto non ha eguali quando orbitano nella sfera del monito, dell’avvertimento, della diffida. Ci fanno subito spuntare la barba da frate predicatore che castiga il popolo dissoluto, fanno aggrottare le nostre sopracciglia come quelle di un censore dell’antica Repubblica, ci soffondono di un’enigmatica aura profetica. Un valore sempre relativo, ma piuttosto interessante.

Parlare di un càveat significa proprio parlare di un ammonimento. Ma per arrivare a questo colore specifico dobbiamo partire da un verbo latino centrale e dalla storia molto lunga — il verbo cavère — che possiamo tradurre come ‘stare in guardia’ o ‘fare attenzione’. Ad esempio cave canem significa ‘attenti al cane’ (qui in un celebre mosaico pompeiano, in uno scatto del fotografo Sailko).

In italiano cavère non ha quasi dato frutti, tranne quelli germogliati nel cauto, nella cautela, nella cauzione e simili. Si tratta di un verbo di ascendenza indoeuropea, e ha parole sorelle dal sanscrito alle lingue germaniche — tutte afferenti a quell’arcipelago di significato che include il comprendere, l’osservare, l’ascoltare, perfino il poetare e l’avere saggezza. Una ramificazione che ci fa intendere la famiglia del cauto non con quella sfumatura di prudenza pavida e irresoluta che spesso gli associamo, ma con un tono di intelligenza penetrante, previdente, preveggente.

Caveat è propriamente la terza persona singolare del congiuntivo presente del verbo cavère: si può quindi tradurre come ‘stia in guardia’. Se non è minaccioso, nell’ipotesi che adombra, comunque non promette niente di buono, e ha un tratto di impersonalità ulteriormente inquietante (non è squadernato e franco come un imperativo cave, sta’ attento).

Si estende dall’avvertimento collaborativo o direttivo, che vuole aiutare ad evitare un rischio (pensiamo ai caveat diramati dal Ministero della Salute sull’uso di un certo farmaco, ai caveat che si trovano nell’introduzione del libro), all’avvertimento che invece ha una sfumatura di intimidazione, di diffida (pensiamo al caveat dell’opposizione, che ventila ritorsioni, su un certo emendamento che deve o non deve passare). Ma può anche avere una dimensione più operativa, che circoscrive il monito alla riserva, alla limitazione (e si parlerà quindi dei caveat della contabilità riguardo a certe manovre di bilancio, del caveat della logistica sulla fattibilità di una missione).

È un monito che si dà un certo tono, che richiede d’essere pronunciato da una posizione determinante: i caveat non sono avanzati da gruppi sparuti e miseri, da gente che non abbia le mani su certe leve. L’effetto principale del chiamare ‘caveat’ un avvertimento riguarda precisamente il modo in cui si presenta la persona, l’ente che lo avanza: mentre adombra la previsione o la determinazione di eventuali fatti futuri, conferisce a costoro un profilo di potere — barba di frate, ciglio di censore, voce di profeta. Più o meno.

Parola pubblicata il 22 Dicembre 2021