Romito
Leopardi spiega parole
ro-mì-to
Significato Eremita, chi per motivi religiosi si ritira in un luogo remoto e isolato, vivendo in solitudine materiale e spirituale; solitario, isolato, nascosto, appartato
Etimologia deformazione di eremita, voce dotta recuperata dal latino cristiano eremita, prestito dal greco eremítes, derivato di éremos ‘deserto’.
Parola pubblicata il 21 Marzo 2022
Leopardi spiega parole - con Andrea Maltoni
Giacomo Leopardi, oltre ad essere un grande poeta, ha osservato e commentato esplicitamente molte parole della nostra lingua. Andrea Maltoni, dottoressa in filologia, in questo ciclo ci racconterà parole facendolo intervenire.
Se vi è mai capitato di passeggiare nel deserto avrete forse provato quella suggestiva sensazione di camminare l’infinito: cosa c’entra però con la nostra parola?
‘Romito’ è per Leopardi una di quelle voci «poetiche per l’infinità o vastità» dell’idea che suscitano, il che alla lettura della definizione potrebbe stupire. Tale affermazione si nutre infatti direttamente dell’antica origine greca: il termine ἔρημος (éremos) ‘deserto’, luogo di vastità, solitudine e silenzio per eccellenza.
Una parola che nasce dal deserto e nel deserto trova la sua prima dimora semantica: i romiti (eremiti, nella tradizione dotta della parola) erano quei monaci cristiani che si erano allontanati dal consorzio umano e dai beni mondani per condurre una vita di solitudine e contemplazione nei deserti d’Egitto.
Pratica carismatica, che trova forti riferimenti in letteratura. Ad esempio, non riesce così bene a un romito uscito dall’irriverente penna boccaccesca: si tratta di Rustico, protagonista della decima novella della terza giornata del Decamerone. Questo personaggio, spiccatamente decameroniano, convince infatti la giovane Alibech, una fanciulla giunta nel deserto per «farsi romita» e avvicinarsi così a Dio, che l’amplesso sia la pratica cristiana con cui poter «rimettere il diavolo in Inferno»: guarda il caso!
È però «tutta in sé romita» anche l’anima di Sordello, il poeta mantovano che Dante incontra nel sesto canto del Purgatorio, la cui storia personale non fu certamente all’insegna dell’eremitismo (celebre trovatore, lavorò e visse presso le più illustri corti italiane del Duecento).
Non si allude qui infatti a caratteri biografici del personaggio, bensì all’atteggiamento con cui l’anima si presenta ai due viaggiatori: «sola soletta» (sic) nota Virgilio qualche verso prima.
Usato come aggettivo, ‘romito’ equivale infatti a solitario, appartato, nascosto, e riesce a racchiudere tutte queste sfumature in un unico termine che, nel suo essere così letterarizzato, è forse perciò tanto evocativo.
Si tratta infatti di una parola ormai uscita dall’uso più comune — anche se con qualche eccezione.
Stai passeggiando a Ballarò, mercato storico di Palermo, e nel vociare babelico senti indistintamente una frase: ‘tu fai come il romito di Lampedusa’, allora meravigliato ti volti cercando chi è che, tra i banchi opulenti, sta leggendo a gran voce un qualche romanzo ottocentesco. Ma no.
Il detto, di origine siciliana, significa ‘fare il furbo, tenere i piedi in due staffe’: leggenda vuole che, nascosto in una grotta a Lampedusa, vivesse un romito che accoglieva con grande ospitalità qualsiasi viandante giunto dal mare ma, a seconda che ad approdare fosse un cristiano o un musulmano, si mostrasse devoto all’una o all’altra religione per garantirsi in entrambi i casi la salvezza.
Siamo partiti dalla vastità e l’infinità del deserto e del sentimento che suscita questa rocciosa parola, romito. Entrambi, luogo e parola, sembrano affondare le radici della loro essenza ontologica e semantica nella solitudine.
E proprio lì, in quella solitudine, Leopardi trovava un profondo nucleo poetico.
In questa poesia — dal titolo parlante — la natura viene presentata attraverso lo sguardo degli antichi che, traboccanti d’immaginazione, la vedevano sempre brulicante di vita, anche nei suoi recessi più solitari, come il deserto.
E poi antiteticamente attraverso i nostri di occhi, filtrati dalla conoscenza moderna fatta di obiettività, precisione e razionalità, che lascia poco spazio per fantasticare.
Allora un bosco, anticamente dimora segreta delle ninfe, oggi non può esser altro che «romito nido de’ venti», svuotato della fantasia e divenuto realmente solitario.
Ma ecco qui la poesia: per parlarci di un oggi arido e sconsolato, il poeta sceglie una parola per lui così carica di bellezza e d’infinità, e la incastona in un inciso pieno di delicatezza.
Così alla fine, in questo bosco solitario abitato dai venti, viene voglia di perdercisi dentro, alla ricerca di quell’antica magia.