Scoccare

scoc-cà-re (io scòc-co)

Significato Tirare, scagliare con forza, specie una freccia; suonare, battere le ore; mandare, rivolgere; sprigionarsi, nascere all’improvviso

Etimologia da cocca, col prefisso s- che indica allontanamento.

  • «Mah, non si vedono più, mi sa che è scoccata la scintilla d'amore.»

Questo è un termine che ci spiega come si rinnovano le parole: c’è una forza poetica che, a partire da quel che abbiamo di semplice e noto, ne allarga e rifonda lo spazio.

‘Scoccare’ è un verbo dallo status buffo, perché da un lato dovremmo dire che è decisamente raffinato, ricercato, dall’altro lo troviamo sparso come prezzemolo anche nei discorsi che si chiedono se è scoccata la scintilla, nei racconti in cui scocca la mezzanotte — senza che magari sia chiaro che vuol dire che scintille e ore scoccano. Partono? Arrivano? Passano? Sono?
È ancor più simpatico se osserviamo che non ha mai avuto un successo grande come quello di cui gode oggi, ma che il suo significato originario rimane limitato alla narrazione storica o all’ambito specialistico del tiro con l’arco. Potremmo dire che è tutto nuovo, se questi significati estesi non fossero già maturati nel Cinquecento. Vediamo da dove scocca questa parola, allora.

È un derivato di ‘cocca’. Non l’omonima nave tondeggiante d’alto bordo e vele quadre che viaggiava nel Medioevo, né l’omonimo epiteto da gallina. La cocca che ci interessa è la tacca all’estremità posteriore della freccia, in cui si inserisce la corda dell’arco. L’origine del suo nome è dibattuta — questa ‘cocca’ ha un nugolo di significati variamente riconducibili a punte, nodi e bernoccoli, forse è di origine fonosimbolica: ci basti sapere che è uno di quei bei minestroni cotti nel profondo medioevo di cui ricostruire gli ingredienti è difficile.

Ora, ci sono diversi modi per descrivere la proiezione della freccia da parte dell’arco, ma sono generici: una freccia si lancia, si tira, si scaglia. Se invece la scocchiamo, ecco il gusto registico di una parola che stringe l’inquadratura sulle dita che lasciano la cocca, e sulla freccia che abbandona l’arco con l’ultima spinta del periodo della corda — il momento in cui la freccia è scoccata (quel prefisso ‘s-’ ci traccia l’allontanamento).
Un’immagine molto più precisa, fisica, icastica, appassionante. Ecco perché a contrario ‘scoccare’ ha preso anche certi significati generali di tirare, lanciare, scagliare, perfino battere — però con una sfumatura di forza, di direzione e di immediatezza.

Se finalmente scocca l’ora della chiusura, trasmetto la sonorità allarmante di un rintocco cenerentolesco, così come lo scoccare dell’ora della merenda non si manifesta come un silenzioso traguardo di lancette — ci sarà, reale o morale, una suoneria, un avviso, un bando di fanfara che slancia sulla schiacciata. Se c’è tutto uno scoccare di sguardi fra due che negano ogni interesse reciproco, questi non sono sguardi appoggiati, che sfiorano, che si scambiano con discrezione: sono dei fulmini rapaci, per cui gli occhi s’incaricano di fare quel che vorrebbe fare tutto il corpo. Lo sguardo di riprovazione scoccato dalla mamma alla battuta infelice fatta davanti alle sue colleghe potrebbe incenerirmi come una saetta di Giove — ma è un momento, non resta torva. E la critica o la lusinga che ci viene scoccata ci spiazza come un dardo.

Si vede bene: lo scoccare, verbo da freccia d’arco o quadrella di balestra, è un guizzare istantaneo, un balenare, uno sprigionarsi, un rivolgersi, un colpire subitaneo, la cui immagine originale ha talmente suggestionato il nostro popolo da moltiplicarsi labirinticamente nei riflessi di mondo che la ricordano, fino a restare solo una fra le altre.

Parola pubblicata il 07 Ottobre 2022