Sgrammatura

sgram-ma-tù-ra

Significato Diminuzione della quantità di prodotto contenuto in una confezione, conservata in vendita allo stesso prezzo precedente; diminuzione del peso di un imballaggio

Etimologia da grammatura, derivato di grammo, con prefisso privativo s-.

  • «Hai notato che sgrammatura? La confezione costa come prima, ma prima era mezzo chilo e ora sono 420 grammi.»

Che impressione ruvida e spicciola che dà questa parola…!
È un’impressione che si deve un po’ al concetto esplicito e pratico (se non venale) che descrive, un po’ al brodo produttivo e commerciale in cui è nata, un po’ alla sua novità, che ce la rende inconsueta. Però dietro vi si nasconde una pratica comune e spesso insidiosa, che conosciamo benissimo e merita di essere dominata con un nome.

Ciò che questa parola ci descrive è in prima battuta una perdita di peso — con due intenti ed esiti differenti.

Il primo, e forse più rilevante, si sostanzia nella diminuzione di quantità di prodotto contenuto in una confezione, che resta però in vendita al prezzo precedente. Sembra che niente sia cambiato, il pacchetto pare uguale e dopotutto si spende sempre lo stesso; invece alcuni grammi sono stati grattati, ciò che pareva standard e solito non lo è più. Possiamo parlare della sgrammatura dei vasetti di yogurt, che da 125 ml passano a 115; di come anche le forme di cioccolatini celebri possano essere investite da una sgrammatura per l’aumento del costo delle materie prime; del disappunto dello zio davanti alla sgrammatura di una bottiglia di grappa che sembrava capace come prima e invece è finita subito («Sul serio, ce n’era meno», dice lui).

Questa pratica da un lato è in grado di conservare un’abitudine d’acquisto, anche se ne erode il peso (un aumento palese del prezzo potrebbe minarla), dall’altro ha un tratto dissimulatorio che difficilmente si toglie di dosso un odore truffaldino. Ma c’è anche una sgrammatura più gradevole — che pare sia la stessa accezione originaria della sgrammatura, con cui questa parola in effetti si è delineata una dozzina d’anni fa.

È la sgrammatura degli imballaggi. Non di rado ci troviamo per le mani bottiglie di vetro che credono di darsi un tono pesando come macigni, bottiglie e flaconi di plastiche spesse, più spesse del necessario. La sgrammatura di questi oggetti è la loro riduzione di peso — peso superfluo, eliminabile — anche grazie alla collaborazione di pratiche ecologiche più diffuse e a tecnologie migliori. E questa accezione è quella che ci dà un addentellato etimologico alla grammatura: la grammatura è il peso in grammi al metro quadro di carte, stoffe e simili. Anche molti imballaggi hanno una grammatura, e la loro sgrammatura segna il passaggio a spessori e pesi minori, a un’attenzione per un impiego più misurato misurato di risorse che non sono solo dispendiose da creare e trasportare, ma anche problematiche da recuperare. Ad esempio la confezione di detersivo si mostrerà attraente anche dichiarando una nuova sgrammatura del flacone, l’acqua in bottiglia tenterà di mostrarsi sostenibile sventolando sgrammature sempre nuove.

Certo il discorso varia quando investe la sgrammatura occulta del contenuto e non dell’imballaggio dei prodotti che compriamo, ma il nocciolo concettuale è il medesimo — e per adesso le due accezioni convivono. A noi resta in mano una risorsa d’intellezione nuova, che magari ci lascia qualche interrogativo, ma che nel discorso italiano è senza dubbio più trasparente e di ruspante incisività rispetto a prestiti inglesi come shrinkflation o lightweighting., che sono un po’ affettati e… fancy.

Parola pubblicata il 16 Aprile 2022