SignificatoGesto del sollevarsi la veste mostrando genitali o natiche, con intenti sensuali, di scherno o di minaccia, specie apotropaici
Etimologia voce composta dal greco anà- ‘su’ e syrma, genere di veste lunga, con strascico.
A volte l’adozione cruda di un termine greco appare una scelta di sfumatura, magari anche un’opzione di dottrina leziosetta. A volte, invece, pare l’unica via per sintetizzare con la giusta presenza un fatto del reale che altrimenti finirebbe sbavatissimo — perfino poco accettabile. Oggi, sotto una corazza greca, ci ripariamo dagli strali della pudicizia parlando di esposizioni di chiappe e genitali.
Attenzione: siamo davanti a un termine tecnico marginale, che di solito non registrano nemmeno i dizionari, che non pare abbia trascorsi sistematici prima del 1950. Però ha una certa diffusione, e descrive un’azione che — pur se non comune — è propria di un’esperienza accessibile e dotata di un rilievo ampio, oltre che di antichissimo lignaggio. Vediamo un po’ dove ci conduce questa parola, da un lato inafferrabile, dall’altro chiarissima.
Prima guardiamola bene — altrimenti non ci sarà modo di capirla bene né di ricordarla. Si compone di un ana-, che si legge come ‘su’, e syrma, che è una veste lunga a strascico, specie usata nel teatro tragico (un riferimento che pare bizzarro e disallineato, in effetti, e la composizione sembra un po’ legnosa). Diciamo che ‘anàsyrma’ è una tirata su relativa a un panneggio, una gonna o simili, che così scopra le pudenda.
Beninteso, qui non siamo davanti all’azione dell’esibizionista che si mostri per violento piacere proprio: questo gesto dell’anasyrma, anche nei suoi risvolti più sensuali, dovrebbe essere un gesto radicalmente magico, apotropaico.
Consacrato nei baccanali, lo troviamo largamente nelle credenze dell’antichità classica: un uomo che mostri il fallo respinge il malocchio (tant’è che anche con il relativo simulacro, il fascino, si otteneva lo stesso risultato), e non mancano i riferimenti circa il potere del gesto compiuto da androgini; d’altro canto una donna che si alzi la gonna, specie durante le mestruazioni, è in grado di deflettere tempeste in arrivo, per mare e per terra (ci dice Plinio il Vecchio, sempre lui). In altre culture di mezzo mondo pare in grado, fra l’altro, di scoraggiare e respingere assalti nemici — ma in realtà anche nella nostra, e non antica. Nel 1488 Caterina Sforza è assediata a Forlì (come racconta Machiavelli) e rifiuta di capitolare davanti ai congiurati che hanno in ostaggio i suoi figli. Sale sulle mura del forte e si alza la veste dinanzi ai nemici schierati dabbasso, dicendo che la minaccia non attacca, perché può fare altri figli (e ne uscì comunque vincitrice).
Le chiappe al vento hanno una complessità forse maggiore: allusione, scherno, esorcismo. È un’articolazione interessante, da sondare.
È un gesto da Venere Callipigia che si solleva la veste — peraltro ‘anasyrma’ indica anche il tipo d’opere d’arte che ne raffigura il gesto, e forse è proprio nella fucina lessicale della storia dell’arte che questo nome è stato plasmato.
Ma fino ai giorni nostri lo conosciamo come segno di protesta o di sprezzo: il mostrare le chiappe ha un effetto di scherno e critica che solo la retorica più fine può superare in potenza. Inoltre, mostrare il culo a Satana (magari invitandolo a baciarcelo) pare lo scacci con effetto sicuro, poiché il gesto lo ripaga con la stessa moneta del sabba, durante cui il Capro si fa giusto tributare l’osculum infame, il bacio sull’ano.
Il motore di questa parola ancora singhiozza e non è detto si avvierà mai rombando. Ma il sollevamento della veste dell’anasyrma è un gesto definito, impastato di credenze e ritualità stratificate fra superstizioni, paganesimo e cristianesimo — e anche con significati antropologici importanti.
Il vestito è il primo ancestrale segno della civiltà umana, ciò che più immediatamente ci distingue dal resto della natura. Sollevare gli abiti per mostrare vulve, peni e natiche aggancia in maniera altrettanto immediata un contatto con la natura primordiale, e con le sue forze primitive e maestose. Forze che si declinano in sensualità, in affronto, in minaccia.
L’anàsyrma oppone la generazione alla violenza, il basso all’alto — ed è splendido che il suo nome partecipi a questa riflessione, calando da un registro più che aulico. È parte del gioco di questa parola, che dà profondità diverse e insolite ai tesori custoditi nelle brache.
A volte l’adozione cruda di un termine greco appare una scelta di sfumatura, magari anche un’opzione di dottrina leziosetta. A volte, invece, pare l’unica via per sintetizzare con la giusta presenza un fatto del reale che altrimenti finirebbe sbavatissimo — perfino poco accettabile. Oggi, sotto una corazza greca, ci ripariamo dagli strali della pudicizia parlando di esposizioni di chiappe e genitali.
Attenzione: siamo davanti a un termine tecnico marginale, che di solito non registrano nemmeno i dizionari, che non pare abbia trascorsi sistematici prima del 1950. Però ha una certa diffusione, e descrive un’azione che — pur se non comune — è propria di un’esperienza accessibile e dotata di un rilievo ampio, oltre che di antichissimo lignaggio. Vediamo un po’ dove ci conduce questa parola, da un lato inafferrabile, dall’altro chiarissima.
Prima guardiamola bene — altrimenti non ci sarà modo di capirla bene né di ricordarla. Si compone di un ana-, che si legge come ‘su’, e syrma, che è una veste lunga a strascico, specie usata nel teatro tragico (un riferimento che pare bizzarro e disallineato, in effetti, e la composizione sembra un po’ legnosa). Diciamo che ‘anàsyrma’ è una tirata su relativa a un panneggio, una gonna o simili, che così scopra le pudenda.
Beninteso, qui non siamo davanti all’azione dell’esibizionista che si mostri per violento piacere proprio: questo gesto dell’anasyrma, anche nei suoi risvolti più sensuali, dovrebbe essere un gesto radicalmente magico, apotropaico.
Consacrato nei baccanali, lo troviamo largamente nelle credenze dell’antichità classica: un uomo che mostri il fallo respinge il malocchio (tant’è che anche con il relativo simulacro, il fascino, si otteneva lo stesso risultato), e non mancano i riferimenti circa il potere del gesto compiuto da androgini; d’altro canto una donna che si alzi la gonna, specie durante le mestruazioni, è in grado di deflettere tempeste in arrivo, per mare e per terra (ci dice Plinio il Vecchio, sempre lui). In altre culture di mezzo mondo pare in grado, fra l’altro, di scoraggiare e respingere assalti nemici — ma in realtà anche nella nostra, e non antica. Nel 1488 Caterina Sforza è assediata a Forlì (come racconta Machiavelli) e rifiuta di capitolare davanti ai congiurati che hanno in ostaggio i suoi figli. Sale sulle mura del forte e si alza la veste dinanzi ai nemici schierati dabbasso, dicendo che la minaccia non attacca, perché può fare altri figli (e ne uscì comunque vincitrice).
Le chiappe al vento hanno una complessità forse maggiore: allusione, scherno, esorcismo. È un’articolazione interessante, da sondare.
È un gesto da Venere Callipigia che si solleva la veste — peraltro ‘anasyrma’ indica anche il tipo d’opere d’arte che ne raffigura il gesto, e forse è proprio nella fucina lessicale della storia dell’arte che questo nome è stato plasmato.
La Venere Callipigia del Museo Archeologico di Napoli, in uno scatto di ho visto nina volare.
Ma fino ai giorni nostri lo conosciamo come segno di protesta o di sprezzo: il mostrare le chiappe ha un effetto di scherno e critica che solo la retorica più fine può superare in potenza. Inoltre, mostrare il culo a Satana (magari invitandolo a baciarcelo) pare lo scacci con effetto sicuro, poiché il gesto lo ripaga con la stessa moneta del sabba, durante cui il Capro si fa giusto tributare l’osculum infame, il bacio sull’ano.
Il motore di questa parola ancora singhiozza e non è detto si avvierà mai rombando. Ma il sollevamento della veste dell’anasyrma è un gesto definito, impastato di credenze e ritualità stratificate fra superstizioni, paganesimo e cristianesimo — e anche con significati antropologici importanti.
Il vestito è il primo ancestrale segno della civiltà umana, ciò che più immediatamente ci distingue dal resto della natura. Sollevare gli abiti per mostrare vulve, peni e natiche aggancia in maniera altrettanto immediata un contatto con la natura primordiale, e con le sue forze primitive e maestose. Forze che si declinano in sensualità, in affronto, in minaccia.
L’anàsyrma oppone la generazione alla violenza, il basso all’alto — ed è splendido che il suo nome partecipi a questa riflessione, calando da un registro più che aulico. È parte del gioco di questa parola, che dà profondità diverse e insolite ai tesori custoditi nelle brache.