Oriundo
o-riùn-do
Significato I cui genitori o avi sono originari di un certo luogo, da cui si sono trasferiti
Etimologia voce dotta recuperata dal latino oriundus, gerundivo di oriri ‘nascere, essere originario’, propriamente ‘che deve avere origine’.
- «Ha una tale criniera rossa che ho subito pensato fosse oriundo dell'Irlanda.»
Parola pubblicata il 19 Novembre 2025 • di Giorgio Moretti
È un bel latinismo che parla di migrazioni e provenienze famigliari, e il fatto che abbia iniziato a girare nel Seicento ci mostra incidentalmente l’orizzonte in cui ha passato i suoi primi secoli.
Il latino oriundus è un gerundivo di oriri, cioè ‘nascere, originare’ (da cui anche l’oriente, ad esempio): questo aggettivo verbale trasforma un verbo in una qualità intonata a dovere o necessità, e quindi alla lettera l’oriundus è un ‘che deve avere origine’.
Notiamo che c’è una ponderazione, qualcosa di pensoso, nell’oriundo, la ricerca di una necessità logica: mumble mumble, dev’essere così. E questo punto si rivela molto importante, perché l’oriundo non è nato altrove e venuto a vivere con noi — qui cammineremmo sul solido terreno della testimonianza diretta. Invece (già in latino!) l’oriundo si riferisce all’origine degli ascendenti.
Nel Seicento non è che fosse tanto normale essere oriundi — o meglio, si poteva essere oriundi di un paese dell’entroterra veneto, oriundi di Siena, al massimo una certa famiglia nobile poteva essere oriunda di Francia o Spagna per retaggio di un’antica dominazione. Ma poi basta. O meglio, curiosamente era un termine che ricorreva in una maniera più simile alla nostra, con orizzonti più paragonabili, quando era usato in una prospettiva storica: nell’Impero romano la mobilità interna era fortissima, ed era normale considerare che Tizio Caio Sempronio e Mevio fossero, di famiglia, provenienti da un’altra provincia — che nella fattispecie poteva essere ai confini del mondo conosciuto e non al di là di un passo appenninico.
Così il nostro oriundo, in un panorama molto più globalizzato e molto più segnato dalle migrazioni, riguadagna un respiro classico. Possiamo conoscere un collega argentino che è oriundo di un campanile dirimpetto al nostro (e perciò, anche nell’altro emisfero, nostro nemico); possiamo parlare dell’amica dalla ‘c’ aspiratissima che è oriunda del Senegal; e possiamo sospettare che l’amico sia oriundo dei Balcani per come condisce le patate.
Il nativo e il proveniente ci raccontano di un trasferimento o di una migrazione personale; l’originario (che pure appartiene alla stessa pianta etimologica) sta più sul vago, posso essere originario della Puglia o perché sono nato a Bari o perché i miei genitori sono baresi mentre io sono nato a Londra. L’oriundo (anche se possiamo usarlo alla grossa, e se mi dico oriundo del posto dove son nato i gendarmi non intervengono) resta a fuoco sull’ascendenza attraverso una categoria tradizionale. Certo, specie ora che è caduto un po’ in disuso l’uso sportivo — per cui si qualificavano oriundi tout-court giocatori di squadre italiane nati all’estero ma di origine italiana — suonerà come un termine un po’ ricercato. E lo è, mica deve giustificarsi. Il significato comunque s’indovina senza grandi problemi, e specie in questi ambiti, obiettivamente caldi, una parola più netta e meno battuta può essere una bella risorsa.