Barbugliare
bar-bu-glià-re (io bar-bù-glio)
Significato Parlare in modo confuso, indistinto, smozzicando le parole; gorgogliare, borbottare
Etimologia voce onomatopeica.
- «Non barbugliare, raccontami perbene! Tanto non ci ascolta nessuno.»
Parola pubblicata il 30 Agosto 2024
Da un lato avere molte parole che parlano più o meno di una stessa cosa è una grande opportunità: abbiamo l’imbarazzo della scelta, ed evidentemente si tratta di una questione rilevante, da delineare con cura. Dall’altro, distinguere le varie possibilità nelle minime sfumature espressive che ingenerano è fra le sfide più difficili della lingua.
Parliamo di un ‘parlare male’. Non tanto in senso concettuale o sintattico, quanto proprio riguardo alla pronuncia delle parole, al modo in cui sono proferite. I motivi per cui questo è un fenomeno rilevante sono dei più variegati, e s’imperniano sull’impressione che fa un discorso detto in modo meno liscio — tradizionalmente, con tutto il bagaglio di giudizi ottusi che la lingua conserva, un difetto da gente menomata, timorosa, ubriaca, ignorante, maleducata. E parliamo proprio di roba vecchia: forse ricordiamo che lo stesso concetto di barbaro scaturisce precisamente da qui.
La maggior parte delle parole che affollano questa zona di significato ha la caratteristica di essere onomatopeica. Col loro suono queste parole fanno il verso all’incertezza nel parlato. Questo da un lato è efficace, a livello espressivo — dall’altro però si presta a certe sbavature nelle definizioni. Come distinguere due sfumature di concetto, se si fondano solo su due diverse imitazioni, che peraltro seguono logiche analoghe? Ci dobbiamo basare sulle differenze d’uso, se ci sono, e al limite annusare quel che ci rende il suono.
Forse il balbettare — che consiste in ripetizioni di suoni e interruzioni — è il termine che è stato in grado di acquistare il respiro maggiore in questo campo, anche da un punto di vista tecnico. Non si può dire comunque che sia un termine neutro: fuor di scienza si porta dietro un giudizio negativo d’incapacità, di minorità e di ignoranza (pensiamo a quando balbettiamo una scusa o balbettiamo qualche nozione di storia); eppure riesce ad avere una sua sobrietà. Anzi una sobrietà notevole, ad esempio se lo paragoniamo al quasi sinonimo tartagliare, che ha un’aria più dura e ruvida che gli conferisce una certa intensità (facciamoci passare nell’orecchio quel tar-ta, e sentiamo come suona diverso dal bal-be — con quel riferimento apparente al tagliare, poi).
Il barbugliare si pone evidentemente a fianco del farfugliare. Addirittura usano le stesse vocali, cambia solo (ma è una differenza centrale) la consonante investita del ruolo fonosimbolico, ‘b’ contro ‘f’. Entrambi insistono su un significato di ‘parlare in modo indistinto’ — e quindi ci scostiamo dal balbettare per avvicinarci, piuttosto, al borbottare, un parlare confuso che smozzica le parole.
Il barbugliare però non ha quella dimensione abbastanza intima e riservata che caratterizza il borbottare, né l’occasionalità che l’incespicare e l’intaccare hanno in quest’ambito, quali difficoltà di articolazione dei suoni. Soprattutto, si mostra più grosso e gorgogliante, di suono più pesante rispetto al farfugliare — che ha una sua leggerezza e paradossale fluidità. Effetto del dominio della ‘b’: una pentola sul fuoco non può farfugliare ma può borbottare e, con minore discrezione (magari schiumando un po’), proprio barbugliare. È un tipo di onomatopea molto radicata, nella nostra lingua: in effetti il barbugliare, anche se negli ultimi decenni è diventato parecchio meno comune rispetto al farfugliare, è quattrocento anni più antico, quattrocentesco. E sentiamo che effetto fa.
Se davanti alla domanda barbuglio una risposta elusiva, se al mattino presto barbuglio appena qualche convenevole, se nell’emozione della notizia barbuglio un ringraziamento, non sto rendendo un frusciare indeciso, imbarazzato; le sillabe sono impastate, non spiccano, ma quasi con un tono di reticenza, con una venatura burbera.
Una gran bella risorsa, e una testimonianza in più della grande misteriosa magia dei fonemi, che anche da soli offrono impressioni psicologiche nette.