Belpaese
Parole d'autore
bel-pa-é-se
Significato Nome per antonomasia dell’Italia; nome registrato di un formaggio creato da Galbani nel 1906
Etimologia forma univerbata di “bel paese”, espressione resa celebre da Dante e Petrarca e poi canonizzata dall’abate Stoppani nel volume Il Bel Paese. Conversazioni sulle bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica d’Italia (1876).
Parola pubblicata il 26 Aprile 2021
Parole d'autore - con Lucia Masetti
La lingua cresce con la letteratura – e noi abbiamo un bel mucchio di parole inventate da letterati, rese correnti da autori celebri, o che nascono da opere letterarie. Scopriamo insieme queste belle parole dietro alle quali si può sorprendere una mano precisa.
Tra Dante e il marketing è sempre corso buon sangue. Anzitutto il Sommo poeta è l’emblema dell’italianità, tanto che la sua testa si trova sulle nostre monete di maggior valore. Inoltre la qualità letteraria che lo contraddistingue tende idealmente a trasmettersi ai prodotti che portano la sua effige. Per questi motivi già nel 1898 fu battezzato in suo onore l’olio Dante, pensato soprattutto per le bocche degli italiani che, emigrati nei paesi del burro, languivano di nostalgia per il patrio olio. Del resto l’associazione non è poi così arbitraria, visto che la Commedia contiene una splendida definizione dell’olio come “liquor d’ulivi” (Par. XXI).
In tempi più recenti l’iconografia dantesca ha offerto lo sfondo tanto alle paradisiache pubblicità della Lavazza quanto a quelle infernali della Segafredo; il che ha causato peraltro una disputa legale, nota alle cronache come “battaglia delle tazzine”. Ma la punta infima – o somma – della pubblicità a tema dantesco è certo data dall’acqua Beatrice, i cui benefici effetti purgativi erano reclamizzati con la frase: “Io son Beatrice, che ti faccio andare”.
Tra questi esempi insigni possiamo includere anche il nome del formaggio Belpaese, benché mediato dal titolo di un famoso volume dell’abate Stoppani. È infatti a Dante che si deve la definizione dell’Italia come il “bel paese là dove ’l sì suona” (Inf. XXXIII), anche se gli fanno concorrenza i versi petrarcheschi “il bel paese / ch’Appennin parte, e ’l mar circonda e l’Alpe” (Canzoniere, CXLVI). Negli anni quest’espressione è diventata tanto celebre da essere assunta per antonomasia tra gli epiteti dell’Italia; e perciò Galbani l’ha scelta per il proprio formaggio, creato per sfidare la concorrenza dei colleghi d’oltralpe.
In effetti sarebbe difficile trovare una definizione più concisa e appropriata: l’Italia è, indubbiamente, un paese bello. Forse anche troppo, come lamentava Vincenzo da Filicaia: “Deh fossi tu men bella, o almen più forte” (Sonetto LXXXVII). Soprattutto l’Italia è bella in modo capillare: ti giri da una parte e vedi i monti, ti giri dall’altra e trovi il mare, svolti l’angolo e c’è un palazzo dai mille ghirigori, percorri le più sperdute strade di campagna e spuntano cappelline dipinte come funghi.
Perciò noi italiani, possiamo dire, succhiamo la bellezza insieme col latte; e, sebbene non ce ne rendiamo conto, ciò si vede da tanti particolari: da come ci vestiamo, da come arrediamo la casa, da come parliamo (storicamente la nostra lingua ha sempre puntato a essere bella, più ancora che funzionale). Il che certo non fa di noi un popolo più “evoluto” di altri; ma ci rende persone fortunate, questo sì.
A tal proposito mi piace ricordare il viaggio in Italia fatto da una famiglia di amici australiani. All’inizio i miei banalissimi suggerimenti su cosa visitare, come il Duomo di Milano o la Cappella Sistina, destarono sconcerto: nella mentalità dei miei amici le chiese erano edifici strettamente funzionali, come le poste. Dopo un po’ tuttavia capirono che qui anche i più sparuti paesini avevano cercato di costruire le proprie chiese nel modo più bello possibile. Da quel momento, alla minima chiesa che vedeva, la madre della famiglia spariva come risucchiata da un vortice. Per me quella bellezza era normale, direi quasi il minimo sindacale; per lei era un’incredibile scoperta.