Cesso

cès-so

Significato Latrina, toilette, posto brutto, angusto e sporco, cosa brutta, persona di aspetto sgradevole

Etimologia dal latino recessus, da recedere, ‘ritirarsi, retrocedere’.

  • «Ho finito di dipingere il paesaggio. Purtroppo è venuto un cesso.»

Ebbene no, non nasce da una figura volgare. In realtà parlerebbe del luogo in cui si vanno a fare i propri bisogni con una delicatezza inaspettata: ci dice semplicemente che la latrina è il posto dove ci si ritira, in cui ci si apparta, poiché nasce da un recessus che ha perso la prima sillaba, e deriva dal verbo latino redere, cioè ‘ritirarsi’. Ovviamente per espletare le funzioni fisiologiche.

Seguendo in linea teorica l’etimologia, allora, potremmo chiamare cesso anche un’alcova in cui rannicchiarsi a leggere Topolino al riparo dal caldo estivo, un balconcino appartato per meditazioni solitarie, o perfino un confessionale. In un certo senso, potremmo dire che un confessionale è soprattutto un cesso, giacché lì ci si apparta col prete e, per soprammercato, ci si sgrava dei pesi dell’anima. Tutti i requisiti paiono presenti. Anche se per queste intimità magari ci sembra più consono il dotto fratello ‘recesso’.

Insomma, sulla carta questo cesso avrebbe molto da dare, molto più di quello che la lingua popolare gli ha appioppato come ruolo nei secoli, ovvero la parola che definisce bruttezza e laidezza, in tutti i sensi. Di fatto, al cesso è capitata questa trista sorte solo perché ad essere brutta e laida è la merda: lui, poveraccio, si limita ad accoglierla con abnegazione e ad ospitare (oggi) l’impianto idraulico che ne permette l’eliminazione nelle fogne. Ma la proprietà transitiva non perdona, e nel campo della semantica permette voli pindarici di inaspettata poesia, così come meste capriole nel fango. E proprio quest’ultima alternativa è quella toccata al cesso.

Ci possono essere dei monumenti brutti come un cesso, film talmente scadenti da essere dei veri e propri cessi, ma non dimentichiamo il filo tagliente che questa parola ha quando la si usa per definire in maniera volgare e ostile l’impressione repellente di un volto o di una figura, in una valutazione di ammissibilità estetica: è tanto buono e gentile, ma è un cesso.

A uso ruvido si aggiunge uso ruvido. Certo il risultato è triviale e aggressivo rispetto a quello che è consono in contesti urbani. Nondimeno va riconosciuta l’utilità della capacità descrittiva di un riferimento secco al cesso, anche in quanto simbolo di un esito meschino — che può proprio volerci quando, presi dallo sconforto, diciamo che la promettente carriera è finita nel cesso per una delusione d’amore, o ci rendiamo conto con dolore, lasciando perdere ogni parola forbita a nostra disposizione, che si è appena buttata nel cesso una lunga amicizia.

Parola pubblicata il 28 Agosto 2022