Destriero

de-striè-ro

Significato Cavallo da battaglia o da torneo; pregiato cavallo da sella; cavallo

Etimologia dall’antico francese destrier, da destre ‘destra’.

  • «È arrivato in sella al suo fido destriero.»

Questa è una parola di tempi andati, che continua ad essere vivacissima nei racconti e nei giochi che li evocano. Troviamo destrieri nelle cupe serie quasi in bianco e nero d’ispirazione medievale, ne troviamo nella chiassosa festa a tema rinascimentale (o presentati come tali), ricorrono nelle storie, e nelle drammatizzazioni dei bambini a cavallo di bastoni. Questi fidi destrieri (sempre fidi) sono cavalli speciali, forti di una dignità unica — sono il meglio dell’emisfero equino del mondo cavalleresco, si direbbe. E c’è un motivo.

‘Destriero’ non era un nome comune per il cavallo, non tutti i cavalli erano destrieri. Di nomi per indicare cavalli ce n’erano correnti molti più di quelli che maneggiamo adesso, distinti a seconda del tipo e del servizio — ad esempio, col destriero non vai a caccia o non viaggi rapidamente da un castello alla città: per quello ti serve un corsiero, che è adatto alla corsa. Col destriero fai due cose: il torneo e la battaglia. Anche col corsiero puoi andare in battaglia, ma il destriero si distingue, e il nome stesso ci dice come.
E no, non c’entra il fatto che sia un cavallo destro, manovrabile e agile nel suo essere possente.

Notiamo una questione generale.
Il cavallo, quando è montato, tende a passare in secondo piano. Cloppete cloppete arrivano, ma pensiamo che mantello al vento è arrivato un cavaliere, non un cavallo, così come brum brum pensiamo che è arrivato qualcuno, non una macchina. E questa minor rilevanza del cavallo è ancor più vera se siamo nelle situazioni del torneo e della battaglia — situazioni tese e rituali, ricche di simboli, di araldica.
Però il destriero non è mica un ronzino qualunque (in antico francese roncin è il cavallo da carico), non è mica un mulo che passi inosservato: è una bestia imponente, maestosa, e dal valore economico spaventoso.

Il destriero si distingue come tale quando, sellato, in sella non ha ancora nessuno; si fa riconoscere per la premura non solo formale con cui lo scudiero del suo cavaliere lo conduce, in particolare tenendo le briglie con la mano destra. Ecco perché è un destrier. È questa forma, con cui lo scudiero incede guidando al passo il destriero senza cavaliere, a dare il nome al cavallo — che lì, così, può essere ammirato, isolato in tutto il suo splendore, in attesa del blasonato, colorato, cortese guerriero che si farà molto notare e lo lancerà lancia in resta contro un pari o a schiantare un muro di pavesi.

Una figura così meravigliosa non poteva restare arroccata nell’uso proprio: il destriero diventa il cavallo da sella di pregio, e anche il cavallo più in genere, quando si voglia dare un tono, anche ironico. Ad esempio il destriero di Sileno, figura divina precedente a Dioniso e simile a un satiro, di grande saggezza e perennemente ubriaca, è l’asino, che lo trasportava quando crollava. E possiamo anche parlare di come l’amico si presenti alla biciclettata montana su un destriero elettrico (furfante), della bambina che vorrebbe il cane si prestasse a farle da destriero, del destriero sauro su cui la ragazza si presenta al primo appuntamento.

Le giostre sono diventate giochi per l’infanzia, i cavalieri sono scomparsi, i cavalli dopo millenni gomito a gomito con gli umani si sono ritrovati alla periferia della società, ma i destrieri incredibilmente rimangono: è il potere conservativo formidabile della storia e della parola, quell'armonia che, Foscolo diceva in una nota poesia, «vince di mille secoli il silenzio».

Parola pubblicata il 19 Luglio 2025