Druida

drù-i-da

Significato Sacerdote celtico

Etimologia voce dotta recuperata dal latino druida, di origine celtica, ricostruito come composto di dru- ‘quercia’ e wid- ‘conoscere.

  • «Se ne va per i boschi raccogliendo fasci d'erbe come un druido.»

A volte i significati di una parola esistono quasi solo in una dimensione di suggestione, solo in una narrazione indiretta, parziale, manipolata, irrimediabilmente fantasiosa. Di rado una condizione del genere è evidente, specie se si tratta di nomi di figure storiche — nei dizionari tutto si mimetizza, e le realtà più fondate, esplorate e note si confondono con quelle, da sempre, appena immaginate.

Noi di che cosa fosse questa figura del druida, o druido (ancora registrata come seconda variante, sui dizionari, nonostante negli ultimi vent’anni si sia affermata come ampiamente maggioritaria) di sicuro sappiamo pochissimo. Sappiamo che stiamo parlando di una classe sacerdotale del vasto, sfuggente mondo celtico, che prima dell’espansione romana e germanica si estendeva dal Danubio alle Isole Britanniche (dove infine sarebbe, in un certo modo, sopravvissuto). Ma ecco: il periodo d’oro dei druidi è almeno a ventidue secoli di distanza — e questo è il primo problema, di solito non insuperabile.

Il secondo stringente problema è che le fonti che ci parlano dei druidi non sono fonti celtiche — men che meno druidiche, dato che loro non scrivevano. Sono fonti romane e greche, che non hanno gli standard attuali della compilazione antropologica, e anzi spesso sono strumento di ostilità politiche e militari, e poi religiose.

Tutta la vasta sapienza dei druidi era completamente orale e non ne conosciamo un motto. Per dire, il ventennio necessario alla loro formazione (ce lo dice Cesare) era fra l’altro passato a tramandare da bocca a orecchio migliaia e migliaia di versi.

In questo buio, il loro nome ci dà un nonnulla di bel valore. Si ricostruisce in ipotesi la voce celtica dru-wid-, che è composta di dru- ‘quercia’ e wid- ‘conoscere’: il druida è quindi il conoscitore della quercia.
Questo è un albero eccelso, considerato tale in tanta parte del mondo, e investito di considerazioni spirituali e religiose che non hanno l’aspetto dell’arbitrarietà. Ma in particolare nel mondo gallico e celtico (i Galli erano una popolazione celtica, quella di cui le fonti romane ci dicono di più) era rilevante il maritarsi del vischio con la quercia tutrice. Tale vischio, raccolto in certe notti con famosi, leggendari falcetti d’oro, aveva poteri magici. Chissà in quali altri sensi la quercia era perno del sapere dei druidi e delle druide.
Per chi l’ha notato, sì, in effetti abbiamo esaurito il profilo di Panoramìx, il druida del villaggio dell’Armorica dove vivono Asterìx e gli altri.

Ad ogni modo, abbiamo quindi in eredità questa figura sfocata di un sacerdote-giudice-custode delle tradizioni-consigliere-medico pagano: non un sacerdote che siede nel sussiego di templi opulenti e compulsa tomi rivelati, ma un sacerdote naturale che ragiona in versi. Anche nell’amministrazione di sacrifici umani, beninteso.

Oggi il druido frequenta la nostra immaginazione come figura di saggezza arcana, forza selvatica, vena magica: è stato canonizzato nel fantasy come stregone mutaforma che agisce sulle forze naturali (in una fantasia non falsa, che segue intuitivamente il modo in cui, col cristianesimo, da sacerdote s’è fatto mago), ma possiamo parlare di come nella casa fuori dal paese viva una specie di druido che raccoglie certe erbe con la luna piena e s’intrattiene con istrici e tassi, o di come la coppia abbia deciso di farsi sposare nel bosco da una druida biancovestita secondo un rito antico, o del sapere da druida della nonna, che taglia e pianta secondo la luna, e affattura con infusi di fiori.

Una parola che ci testimonia come sia semplice abitare il mistero.

Parola pubblicata il 04 Maggio 2023