Epanodo

e-pà-no-do

Significato Figura retorica che consiste nel riprendere e circostanziare parole in precedenza accennate o elencate

Etimologia voce dotta recuperata dal latino tardo epànodus, prestito dal greco epánodos ‘regressione’, composto di epana- ‘di nuovo’ e hodós ‘via’.

  • «Sono felice e triste. Felice di vederti, triste perché poi non ci rivedremo per tanto tempo.» «Ma avrai sempre un epànodo come questo pronto per me?» «Un epànodo e non solo.»

Scrivere e parlare con arte significa, fra le altre cose, superare l’unidimensionalità del rigo, della sequenza di parole che fila dritta dalla bocca. La retorica trasforma una sfilza di parole in un tessuto, in un disegno, riprendendo sempre nei modi più diversi — con simmetrie, opposizioni, variazioni, protrazioni e contrasti — ciò che è stato detto o scritto prima, come si riprende un punto della trama, una pennellata di colore.

Ora, a vedere la parola ‘epànodo’ per la prima volta ci prendono sgomento e perplessità. Che roba è? Si mangia al ristorante? Ci passa la corrente elettrica? È una brutta diagnosi? In effetti non è una parola che dia grandi appigli, a vederla: gli elementi greci che la compongono sono poco trasparenti. Oltretutto, come ogni figura retorica — perché di figura retorica si tratta — nemmeno la sua definizione aiuta più di tanto a capire chi abbiamo davanti. Anche se poi alla fine ci accorgiamo di ricorrervi continuamente.

È una figura che dà complessità di analisi al discorso, presentandoci letteralmente una regressione — in effetti anche in latino è nota come regressio. Consiste nel tornare indietro riprendendo una parola detta prima, arricchendola, circostanziandola; anzi spesso si fa con più parole, che magari erano state solo accennate o che costituivano un elenco. Qualche esempio lo facciamo o no?

Potremmo farci un fine settimana fuori città, al mare o in montagna. Al mare potremmo andare a Cala Fogna, in montagna al Sollazzo delle Querce. Tu che dici?
Ho una melanzana enorme, ci posso fare un aperitivo o un secondo — di aperitivo degli involtini, di secondo una parmigiana. No, ne ho due!
E mi è dispiaciuto non esserci per lei, in questo momento difficile, lei che invece non mi ha mai fatto mancare il suo sostegno.

Come si nota, l’epanodo scorre discreto, ma sa far fluire anche una certa enfasi. Recupera con ordine le cime gettate: permette di osservare meglio, in una seconda ricognizione, ciò che era stato appena nominato, appena pensato. Mette a fuoco e dà spazio, facendo emergere da uno strato ulteriore quello che pareva un cenno, la prima bozza. Tornando indietro, l’epanodo riannoda il discorso in una compiutezza ponderata, senza che si sfilacci in oscuri sentieri che si biforcano.

C’è del buonsenso, nell’epanodo, una schietta voglia di farsi capire, di circostanziare in maniera organizzata. Può essere una premura espositiva, perfino burocratica e tassonomica («Il bando è aperto per opere edite e inedite. Per opere edite s’intende… Per opere inedite s’intende...»). Ma può anche essere un’impellenza emozionata, che si avvita su una parola, su un concetto, su una figura. Pensiamo a quando infine vedendo Beatrice, nel XXX del Purgatorio, Dante si rivolge a Virgilio, che però se n’è andato senza commiato: «Ma Virgilio n’avea lasciati scemi / di sé, Virgilio dolcissimo patre, / Virgilio a cui per mia salute die’mi» (Ma Virgilio ci aveva lasciati privi di sé, Virgilio dolcissimo padre, Virgilio a cui per la mia salvezza mi affidai).

Insomma, una comune regressione a cui ricorriamo con la massima versatilità per approfondire, dare ordine e sentimento alla rete del nostro discorso, riprendendone le maglie.

Parola pubblicata il 10 Maggio 2022