Gigioneggiare
gi-gio-neg-già-re (io gi-gio-nég-gio)
Significato Imporsi con la propria vanità all’attenzione altrui; recitare in maniera enfatica e con volontà di primeggiare
Etimologia daGigione, personaggio reso celebre da Edoardo Ferravilla.
- «Ancora non ha detto niente di interessante, si limita a gigioneggiare.»
Parola pubblicata il 21 Dicembre 2024
Certe parole sopravvivono al riferimento da cui sono scaturite, caduto nell’oblio. Proprio come le persone, anche le parole si possono conoscere a un certo punto della loro vita, senza sapere niente di ciò che è successo prima — e questo non toglie un bottone alla piacevolezza e alla ricchezza della loro frequentazione. Ma sono casi che ci danno due spazi eccezionali su cui riflettere: quale è, allora, la loro origine? E com’è che continuano a funzionare così bene a dispetto del suo oblio?
Edoardo Ferravilla è stato un attore e commediografo milanese — floruit fra fine Ottocento e inizio Novecento. Fu particolarmente apprezzato come attore in dialetto, e ideò alcuni personaggi che nella cultura milanese hanno lasciato il segno, anche perché sviluppati in riviste e portati in alcuni cortometraggi del primo cinema. In particolare con la rivista Il Minestron divenne celebre el Gigiùn.
Questo Gigione (accrescitivo di Gigi, ipocoristico di Luigi) era un cantante sfiatato e rauco ma vanaglorioso e vanesio, sempre in cerca di parti anche scarse per cui farsi scritturare. Il successo della figura travalicò l’orizzonte locale e diventò un’antonomasia tanto rappresentativa che il nome ha dato vita a una cascata di forme derivate — gigioneria, gigionata, gigionesco, gigioneggiare — con dei significati che si sono via via estesi. Partendo dai caratteri del personaggio, il gigione è diventato l’attore enfatico che smania per primeggiare, e più ampiamente chi s’impone con la sua vanità all’attenzione altrui. Significati mica male da avere in testa, eh?
Certo che, scordati el Gigiùn e Ferravilla, anche da sé col suo solo suono, senz’altri riferimenti e trascorsi, ‘gigione’ sa essere molto evocativo. Morbido e suadente, sonoro e goffo ed essenzialmente ridicolo, riesce a interpretare meravigliosamente il suo significato — e in parte sta senz’altro qui la forza del suo perdurante successo.
Il gigioneggiare, per ventura, amplifica il gioco di ‘gi’ del gigione, con un effetto strabiliante.
Già quella del gigione è una qualità composta di atteggiamenti; il gigioneggiare ce li mette in scena, ne fa comportamenti plateali. Azioni e parole si gonfiano, cercano il massimo rilievo per ottenere ammirazione.
Gigioneggia lo sportivo prima della gara, sicuro (troppo sicuro?) del risultato; gigioneggia l’amico a cena, soverchiando ogni altro discorso raccontando la fatica di fare la spola fra Londra e Dubai; mentre gigioneggia l’attrice che cerca di sopperire alla scarsa comprensione della tensione drammatica con gesti e intonazioni di gran patetismo.
Nella sua grossezza, nel suo ridicolo è una parola davvero fine; icastica nel rendere un carattere e un comportamento umano, lo riesce a fare in maniera divertente, ed evidentemente indimenticabile.