Grumolo

grù-mo-lo

Significato Gruppo di foglie centrali del cespo di una pianta, più tenere

Etimologia voce dotta recuperata dal latino grumulus, diminutivo di grumus, propriamente ‘mucchio di zolle’.

  • «Ho pulito la verza, ti lascio il grumolo sul tagliere.»

Parleremo di un piccolo grumo? Anche. Ma dietro a una parola così, che a vederla per la prima volta non sembra promettere niente, c’è moltissimo.

Ora, in questo periodo autunnale, ci capita spesso — capiterà anche a voi — di passare più tempo del solito a sfogliare cavoli. Le foglie esterne, si sa, sono meno gentili, anche se non mancano gli integralismi che ci squadernano quanto sia proprio nelle foglie più esterne che eccetera eccetera e quindi si raccomanda di non buttare via niente, anzi mangiarsi anche la zolla.

Ora, la zolla di terra è un elemento del mondo di interesse sovrano, anche se a noi dall’alto dei nostri marciapiedi non sembra: la terra sciolta non ha unità di misura naturale, e la zolla sopperisce con familiare immediatezza. È l’atomo dell’agrimensura.
Grumus in latino è il mucchio di zolle, il tumulozzo: niente di significativo, che permette di apprezzare una certa disomogeneità d’ammasso. Anche il nostro grumo dopotutto, per quanto minuto, è tutt’altro che omogeneo, è un coagulo, una caccoletta bugnata, un fallimento di amalgama. Ecco che qui entra in scivolata l’antica poesia popolare — spesso meravigliosa, non sempre alatissima.

Questo cuore di zolle si fa analogia per il cuore dei cespi che crescono daccanto. Spesso è proprio qualcosa di prominente, che si erge, e che ha una composizione disomogenea di foglie e cimette: il grumolo è il gruppo delle foglie centrali del cespo di una pianta, che sono le più tenere e grate al palato.
Magari non suona benissimo — a noi, che viviamo in un lago di lingua che ricerca la ricercatezza per venderci meglio le cose. Vogliamo il cuore della verdura, magari già pulita e pronta da ingoiare. E però la rappresentatività del grumolo, anche a partire da questa immagine cardiaca, va considerata: un suo sinonimo tradizionale in voga specie al settentrione, il garzuolo (fonosimbolicamente non lontano: sonoro, raspante e frusciante, diminuito) non continua che un’ipotetica voce del latino parlato ricostruita come cardìolus, che riconosciamo bene come derivato dal kardìa greco, il cuore.

Così ci mangiamo un’insalata di grumoli di cicoria condita con una speciale vinaigrette, che il nonno compone in cucina da solo e con la porta chiusa; con poche coltellate facciamo a pezzi il grumolo del finocchio che finirà in forno; e coi tuoi gusti delicati, se ti metti a pulire tu i carciofi, ne lasci la miniatura di un grumolo.
Magari, poi, lucrando il fatto che il grumolo ha anche l’aria da piccolo grumo, da nucleo minimo (un pochino degradato), potremo anche parlare del grumolo di verità che scorgiamo nella dichiarazione palesemente falsa, o del grumolo di case del borgo medievale disabitato.

Non è una parola ideata con slancio brillante dall’artista di sofisticata dottrina: è una figura del campo resa con un’altra figura del campo. L’orizzonte non è olimpico, apollineo, non è un’eco di corrispondenze che coglie la continuità di un filo dei più sottili, nella trama del mondo. Ma è un orizzonte ecumenico: dove ci sono zolle e grumoli ci siamo noi.

Parola pubblicata il 02 Dicembre 2025 • di Giorgio Moretti