Monocrepide

mo-no-crè-pi-de

Significato Che calza un solo sandalo, una sola scarpa

Etimologia voce dotta recuperata dal latino monocrepis ‘con una sola scarpa’, prestito dal greco monokrépis, composto da mono- ‘uno’ e krepís ‘sandalo’.

  • «Qui osserviamo un Giasone monocrepide che reclama il trono, com'era stato profetizzato avrebbe fatto un uomo con un solo sandalo.»

Il profilo che ci può comparire alla mente a leggere una definizione del genere è quello della nonna che corre fuori di casa con una sola ciabatta al piede perché l’altra l’ha già tirata ai passeri che le stanno razziando l’orto, o ai piccioni che si sono accomodati sul balcone. In effetti, nella nostra cultura, la figura della persona con una sola scarpa ci suggerisce subito e solo che sia estremamente scarmigliata, senza significati secondi che diano profondità alla situazione. Ma non è sempre stato così — ed è per questo che abbiamo una parola o due per indicare questa semiscalzità.

Nel mondo antico la qualità del monocrepide, o monosandalo, ha sempre voluto dire qualcosa di più (e ne abbiamo ricche testimonianze narrative e figurative). La figura monocrepide può essere di una divinità, come talvolta sono raffigurati Dioniso ed Ermes, ma anche di un umano, come Giasone (che, come profetizzato, da ragazzo rivendica il proprio trono indossando un solo sandalo). In ogni caso, il fulcro di ciò che rappresenta è la compresenza di un contatto con la terra e di una situazione elevata e protetta. Da un lato un piede (spesso il sinistro) è unito con il mondo ctonio, la dimensione infera e della morte, o anche semplicemente terrena, mentre l’altro (che parimenti spesso, come si arguisce, è il destro) è protetto, distante, alto.

È una qualità simbolica da divinità superiori che agiscono sull’inferiore, ma adombra anche un percorso iniziatico: è una situazione di mezzo (peraltro tipica dell’evoluzione degli eroi) in cui è avvenuto un passaggio, una situazione instabile, superiore ma non priva di pericolo, che lascia con un’andatura ineguale, quasi da danza rituale.

Una parola specialissima, affascinante, che ci porge il riferimento al krepis, il semplice sandalo allacciato alla caviglia in uso presso i popoli dell’antica Grecia (e non solo) in una prospettiva inusuale — difficilmente il caso di una figura che ha solo un piede calzato avrà attratto le nostre speculazioni. Anzi, il monocrepide sembra un termine specialistico, distante dalla nostra esperienza e dal nostro immaginario — un termine da pannello museale che descrive la scena dipinta sul vaso di tempi remoti o la scultura a tema mitico. Difficilmente ci verrà da parlare del pellegrino che arriva monocrepide all’ostello, con lo scarpone sfondato legato allo zaino, del figlio monocrepide che scende ad aiutarci con la spesa senza aver trovato l’altra ciabatta, dell’amica monocrepide, a cui l’onda ha strappato un’infradito e che ora balzella sulla sabbia rovente. Abbiamo una grande prontezza nel credere i concetti distanti da noi, anche se sono solo esperienze poco considerate. Ha un profilo ben noto, di cui con qualche sforzo riusciamo anche ad annusare seconde implicazioni: va solo considerato, è scritto più in profondità di quel che possiamo immaginare.

«Però» obietterà qualcuno «per non essere un mero vestigio, questa qualità dovrebbe avere una certa consistenza e presenza, nel nostro immaginario!» Già. Direbbe bene. Se solo ci fosse! Se solo ci fosse una narrazione davvero celebre in cui qualcuno supera una condizione inferiore attingendo a forze soprannaturali, che l’elevano a uno status insperato anche se solo in maniera temporanea, potendo conservare a testimonianza di questo passaggio un solo sandalo, o magari una pantofola di vaio, o che so, una scarpetta di cristallo…!

Parola pubblicata il 22 Novembre 2022