Mosto

Le parole del vino

mó-sto

Significato Succo d’uva che fermentando si trasforma in vino; succo zuccherino che può subire una fermentazione alcolica

Etimologia dal latino (vinum) mustum ‘vino nuovo’, da mustus ‘nuovo, giovane, recente’.

  • «Dai, non ci vede nessuno, senti com'è buono questo mosto!»

Le parole che riguardano pratiche antiche e prodotti di consuetudine remota hanno un carattere duplice ricorrente: da un lato comuni, dall’altro insondabili.

Del nome ‘mosto’, che ci è familiare come succo ottenuto pigiando l’uva, dalla cui fermentazione si ottiene il vino, sappiamo questo: ci arriva dal latino mustum per via popolare. Quindi non è andato perduta col latino, venendo recuperato attraverso i libri in quella lingua da dotti del medioevo; ha vissuto il periodo dalla tarda antichità all’era comunale passando di bocca in bocca, e trasformandosi, fino a emergere nell’italiano scritto.
In latino c’era l’aggettivo mustus, col significato di ‘nuovo, giovane’. Nella veste di sostantivo neutro, e sottintendendo vinum, mustum è il mosto e il vino nuovo, figuratamente anche la vendemmia e il suo periodo — ma anche il succo delle olive, l’olio. Il mustum dicevamo prosegue nel mosto italiano, ma da dove venga musuts è ignoto: ogni tentativo di confronto con altre lingue sembra vano, e insomma pare sia una voce latina del tutto isolata.

Ora, il mosto è una presenza che non ha più quella capillarità che aveva un tempo, nella quotidianità stagionale del tessuto sociale — insomma oggi è difficile che per le vie del borgo, dal ribollir de’ tini (dove il mosto fermenta) vada l’aspro odor de i vini l’anime a rallegrar. In questi casi a uscirne indebolito è l’uso metaforico, che per secoli ha trovato nel mosto un riferimento condiviso e pronto: un fermento che preme e spumeggia promettente. Difficilmente dirò che la novità mi fa sentire un vaso pieno di mosto, o almeno stenterò ad essere capito.
In effetti c’era proprio un modo diverso di concepire il mosto anche come parola: anticamente è stato perfino in grado di conservare l’originaria dimensione latina di aggettivo, col significato di ‘nuovo’, anche se comunque quasi sempre riferito al vino.

Ad ogni modo, il fatto interessante è che il mosto non è sempre e solo mosto d’uva — lo è solo per eccellenza. Il mosto è imperniato sulle qualità del giovane, del recente, ma in italiano sono mosti tutti i succhi zuccherini che possono subire la fermentazione alcolica. Quindi si parla di mosti di mele da cui i sidri, mosti di malto d’orzo da cui le birre, e via dicendo. Eppure, come anticipavo, in latino l’inclinazione alla fermentazione non sembrava concettualmente così determinante e centrale: la novità del succo si attagliava splendidamente a quello d’oliva. (Ma in effetti tutt’oggi, con un uso molto specifico, è detto mosto un olio non filtrato e torbido, con particelle di polpa e nocciolo, considerato di particolare pregio.)

Il lungo commercio con questa roba contribuisce a darle connotazioni contrastanti — ad esempio il mosto può essere in figura vino scadente, in quanto nuovo, fatto di fretta e senza cura — ma le sensazioni che suscita sono quasi univocamente positive: il mosto è vivace, energico, dolce, leggero, e inoltre ha una forte dimensione di festa comunitaria. Senza contare la sua versatilità oltre il vino: in cucina, anche cotto, è alla base di molte preparazioni tradizionali, fra cui, ovviamente... la mostarda.

Parola pubblicata il 20 Settembre 2024

Le parole del vino - in collaborazione con la tenuta vinicola Santa Margherita

Alla scoperta di radici ancestrali, significati sorprendenti e accezioni à la page, stappiamo le parole del vino che ci arrivano da ogni parte. Questo ciclo è sostenuto dalla tenuta vinicola Santa Margherita.