Panzana

pan-zà-na

Significato Fandonia

Etimologia etimologia discussa, forse evoluzione figurata del nome di un piatto di pan bagnato, dalla voce ricostruita del latino parlato pactiare ‘compattare’.

Il problema è che fake news ha un tratto machiavellico, rimarchevole, è una categoria individuata con un riguardoso forestierismo e che si manifesta con una certa specificità intellettuale. La panzana è ben diversa, e in molti casi è un nome più appropriato.

Dire che la panzana è una fandonia, al solito, è un’approssimazione. La ‘fandonia’ racconta il falso e la bugia in una dimensione volentieri burlesca, e la ‘frottola’ è terribilmente leziosa. Le parole con cui ‘panzana’ più propriamente si confronta appartengono ai bacini delle... cavolate, con alternative più colorite. C’è una profonda affinità con la sciocchezza.

Chi ci ha studiato sopra è tendenzialmente prudente, ma ultimamente c’è chi si sbilancia su una via nuova. Certamente l’etimologia della panzana ci riconduce a un significato originario di pietanza: si tratterebbe di un ancestrale piatto di pan bagnato (da cui anche la panzanella). È plausibile che questo nome, piuttosto che appartenere alla famiglia del ‘pane’, derivi da un verbo latino non attestato derivato di pactus ‘compresso’ (participio passato di pangere, ‘conficcare’), cioè pactiare, che descriverebbe appunto un ‘comprimere’, uno ‘sbattere’ — azioni tipiche dell’abbagnamento culinario del pane secco.

Ora, anche se oggi i piatti di pan bagnato, come tutta la cucina povera, possono trovarsi sui menu di locali tipici e di un certo livello, tipicamente a prezzi non proprio poveri, storicamente sono stati i più miseri fra i piatti. Mescoloni di pane vecchio e quel poco che c’era d’altro, è plausibile siano diventati emblema del cibo di qualità più bassa.
Il passaggio figurato che porta la panzana a descrivere la roba che ti viene propinata e a cui dovresti credere è sintetico e di grande, ruspante forza poetica. Quando ci viene detta una panzana, è come se ci venisse portato da mangiare un trogolo di pane vecchio, magari muffitello, mischiato al raccattaticcio — come doveva essere un tempo, ricetta della tradizione, con buona pace della bontà della panzanella della nonna e di quella scomposta che ti servono alla Sosta del Pievano (c’è da prenotare il mese prima).

Possiamo parlare delle panzane raccontate nei titoli e riportate nei virgolettati degli articoli di giornale (anche se magari poi gli articoli sono circostanziati e accorti), della panzana che lo zio racconta alla zia per giustificare l’urgenza di un viaggio a Bordeaux o in Valpolicella, della panzana che la vicina di casa ci racconta ogni mese riguardo al fatto che figuriamoci, quel mobile non resterà sul pianerottolo, la prossima settimana verrà il genero da Düsseldorf a prenderlo.

La panzana abbassa la menzogna: la fantasia scomposta, l’esagerazione, il carattere raffazzonato concorrono a spuntarla, a renderla incredibile, una bugiola stupida non perché innocua, ma perché proprio elaborata male. Ci prova a stento ad essere presentabile, la panzana. E la sua sonorità riempie la bocca come e più di altre parole colleghe meno presentabili — mentre la panzana, pur con questi umili natali e con l’energia di questi tratti svilenti, non sfigura nemmeno in discorsi più alti.

Parola pubblicata il 02 Marzo 2022