Peculato

pe-cu-là-to

Significato Reato del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che si appropria di denaro o cosa mobile altrui di cui ha il possesso o la disponibilità in ragione del suo ufficio o servizio

Etimologia voce dotta recuperata dal latino peculatus, da peculari ‘appropriarsi di denaro pubblico’, da peculium ‘peculio’, da pecus ‘armento, bestiame’.

  • «Pare abbiano fatto sparire i gioielli che avevano sequestrato, ora sono indagati per peculato.»

Parola da tribunale e da cronaca giudiziaria, di quelle che ci troviamo davanti volenti o nolenti — ma è interessante su diversi piani. È di quelle che fra l’altro ci riporta a guardare negli occhi l’antico bestiame su cui si fondano importanti parole di proprietà e ricchezza, dal peculiare alla pecunia. Ma prima di tornare a guardare le greggi pascolare sul profilo del colle, per comprendere bene questa parola dobbiamo chiarirci due cose.
La prima è un’idea riguardo al furto e la seconda è un’idea riguardo ai reati.

Il furto, comunemente, è usato come termine-ombrello sotto cui si sviluppa una grande varietà di modi speciali di prendere ingiustamente per sé la roba altrui, ma qui ci serve il senso specifico.
Si parla di ‘furto’ quando ci si impossessa di una cosa altrui sottraendola. Felice dell’acquisto di una mezza forma di pecorino, la alzo in trionfo, ma una mano lesta me la sfila da dietro e si dilegua. Furto.
Facciamo che per evitare altri furti lascio in custodia una nuova mezza forma di pecorino al mio amico, l’affidabile Gigi il ghiottone; al ritorno però lui cerca di convincermi che no, non era mezza, era un quarto. Infine, pulendosi la bocca dalle briciole di cacio, confessa. Ecco: se a qualunque titolo (per legge, per contratto...) io ho il possesso di una cosa non mia, e me ne approprio, allora non si parla di ‘furto’ ma di ‘appropriazione indebita’. E teniamocela in fresco.

Il secondo dato di diritto da chiarire è questo: ci sono alcuni reati che non può commettere chiunque, che non sono comuni. Non nel senso che serve una speciale immoralità, che li riserva solo agli animi più fetenti: li commette solo chi ricopre una certa posizione, un certo ruolo.
Ad esempio, non posso commettere un abuso d’ufficio svolgendo il mio mestiere di recensore di formaggio pecorino: devo essere, per esempio, un pubblico ufficiale in servizio. Questi sono detti reati propri. Non di rado raddoppiano un reato comune: la posizione speciale di chi lo commette rende quel medesimo fatto di reato più grave o meno grave — e arriviamo al dunque.

Il peculato è un reato proprio, ed è l’appropriazione indebita compiuta dal pubblico ufficiale (o dell’incaricato di pubblico servizio), che ha il possesso o la disponibilità della cosa in ragione del suo ufficio o servizio — e perciò specialmente dannosa e odiosa, perché è il tralignamento di un’alta funzione. La forza pubblica sequestra denaro sporco, che però sparisce misteriosamente, e così scatta l’indagine per peculato; viene imputato per peculato il sindaco che ha acquistato roba per sé con i fondi del comune; e invece si configura un più mite peculato d’uso quando l’ufficiale prende l’auto di servizio per sbrigare una sua faccenda personale e poi la riporta subito.

Quella del peculatus non è una categoria del diritto romano di età classica — è derivato del verbo peculari, che significa ‘frodare lo Stato, rubare, appropriarsi di denaro pubblico’ (e per estensione anche ‘amministrare male’). Si tratta di un verbo che nasce dal peculium, un termine che ha il significato generale di ‘patrimonio’, ma che ha un forte tratto di proprietà, personalità. Il peculium era propriamente il gruzzo che il pater familias (unico soggetto con capacità giuridica patrimoniale della famiglia) dava a figli e servi per le spese personali o perché lo gestissero. Tanto personale era il peculium che noi per dire ‘proprio di qualcuno, tipico, caratteristico’, diciamo ‘peculiare’. E ovviamente questo particolare patrimonio era inizialmente bestieretaggio di un passato arcaico in cui il padre, la prole, la servitù lavoravano insieme, e in cui i beni importanti erano terra, attrezzi, animali e schiavi. Il diritto romano, con tutto il marmo accumulato in un’esperienza durata tredici secoli solo in epoca antica, non supererà quasi mai le prime categorie con cui era stato impostato — e nemmeno noi.

Parola pubblicata il 23 Luglio 2022