Pleonastico

ple-o-nà-sti-co

Significato Che costituisce un pleonasmo; superfluo, non necessario

Etimologia da pleonasmo, voce dotta recuperata dal latino tardo pleonasmus, prestito dal greco pleonasmós ‘sovrabbondanza, eccesso, ridondanza’, derivato di pléon ‘più, troppo’.

Non sono tante le parole che come questa riescono, da sole, a impostare il tono di un discorso. Tirata in ballo, aulica come solo le parole forgiate nel lessico della retorica greca prima e latina poi sanno essere, dichiara un giudizio di superficialità con lucidità spassionata — arrivando per paradosso all’affettazione.

Naturalmente, per cogliere la forza del pleonastico si deve prima comprendere quella del pleonasmo. Il pleonasmo è una figura retorica: a noi questa figura ci piace usarla per rendere più vigoroso il discorso attraverso un’aggiunta di elementi non necessarî né dal punto di vista grammaticale né da quello concettuale. A me mi piace, io un bignè me lo mangio, entro dentro, esco fuori, di lui non me ne importa niente. Una forma di ridondanza, su cui pesano bandi grossolani: naturalmente una lingua elegante si distingue anche per la pulizia di tratto, e quindi non si smaglia in sovrabbondanze senza ragione, ma quando si parla di pleonasmi si tratta a tutti gli effetti di artifici retorici, che come tali restano una risorsa espressiva importante.

Ora, il pleonastico coglie proprio gli aspetti di non necessario, superfluo, soverchio propri del pleonasmo — peraltro in epoca tarda, a Italia appena unita. Così, anche se naturalmente può riferirsi ai caratteri del pleonasmo in senso proprio, questo aggettivo si muove su questi significati in senso generale, ed è usato con frequenza e disinvoltura.

Perché se da un lato si possono dire pleonastiche argomentazioni secondarie che si accalcano inutilmente a sostegno di un argomento già da sé fortissimo, o pleonastiche osservazioni didascaliche che ripetono tratti già delineati del quadro, possono essere pleonastici ordini del giorno ridondanti, vittorie troppo schiaccianti (pleonastica la terza doppietta), ruoli dirigenziali a fronte di squadre rodate e autonome, pleonastico il titolo didascalico dell’opera teatrale o della kermesse, pleonastici attributi impliciti che non c’era proprio bisogno di esplicitare, tautologie, ovvietà.

Insomma, fotografa il sovrabbondante e ripetuto che raddoppia funzioni e risultati, tanto nel suo essere superfluo e pesante, quanto nel suo non essere portatore di originalità.

Curioso carattere di una parola di potere, ingombrante e forte di una maestosa sonorità greca che il passaggio attraverso il latino e i secoli non hanno opacizzato, eppure semplice nel significato, e di uso vivace e diffuso.

Parola pubblicata il 12 Settembre 2020