Tazza

Parole semitiche

tàz - za

Significato Recipiente di ceramica cilindrico, con manico laterale, usato di solito per bere bevande calde

Etimologia attraverso il francese tasse e lo spagnolo taza, dall’arabo ṭāsa, ‘tazza’, ‘scodella’ o ‘ciotola’.

  • «Ne vuoi una tazza?»

Ci sono le coppe, figlie del latino, oggi trofei conferiti ai vincitori di tornei e campionati, ci sono i calici, dall’ellenico rimando alle corolle dei fiori, nei quali gustiamo vini pregiati e nettari preziosi, ci sono i germanici bicchieri, roba da osteria, per la vita di tutti i giorni. E poi ci sono le tazze.

Possono essere di finissima bone china, la tradizionale porcellana inglese, uno dei vari tentativi europei di imitare la perfezione dell’antica porcellana cinese, e allora saranno usate per gustare un buon tè pomeridiano in pieno stile vittoriano, o di semplice terracotta, magari buone per essere messe nel forno a microonde e consumare una bevanda calda in fretta e furia durante la pausa al lavoro. Poi per analogia di forma c’è la tazza ‘del gabinetto’, sulla quale lo zio sfoglia il giornale ogni mattina, occupando il bagno per lunghe mezz’ore, e sconfinando nella consuetudine sociale, la tazzina di caffè che ci ripromettiamo di prendere insieme alla vecchia amica ‘uno di questi giorni’ da ormai… cinque anni.

La tazza è un oggetto comunissimo, fa parte delle nostre vite in maniera silenziosa e discreta, tutti ne abbiamo almeno una in casa, altrimenti come faremmo ad uscire dal letto, di mattina, ed affrontare il mondo senza nemmeno un goccio di vino d’Arabia o di ambrato e profumato infuso orientale? Curioso che le bevande che tradizionalmente vengono consumate in questo recipiente, il tè e il caffè, provengano dal Levante, visto che la tazza stessa, almeno etimologicamente, ha DNA mediorientale.

Passando infatti attraverso il francese tasse e lo spagnolo taza, scopriamo un’origine araba, dalla parola ṭāsa, col significato di scodella, ciotola e, non in ultimo, tazza. Molti nomi che pertengono alle cose ordinarie della vita, oggetti di uso comune e strumenti, in italiano sono derivati dalle lingue germaniche, dal longobardo, ma non dobbiamo dimenticare l’influenza avuta dall’arabo. Effettivamente i termini dell’italiano che derivano da questa lingua semitica sono principalmente attinenti al mondo del commercio, degli scambi, della navigazione, della burocrazia commerciale e delle scienze. Ma ci sono alcune parole tra cui ragazzo, materasso, magazzino, taccuino e lo stesso caffè (da bersi in tazza, ovviamente) che hanno origine araba e che usiamo ogni giorno con disinvoltura e, anzi, necessità.

Perché le cose semplici e indispensabili che fanno parte della cultura materiale, gli utensili più comuni e irrinunciabili hanno viaggiato, nel tempo, e si son portati dietro un passaporto, quello dell’immediatezza, della facilità, della riconoscibilità. Così, nei peripli compiuti dagli esploratori, dai mercanti, dai crociati, oggetti e parole si sono infilati nei bauli e nelle stive delle navi, per sbarcare poi su lidi nuovi e sconosciuti, pronti a conquistare le mani e le bocche dei parlanti, con la loro praticità e una bella dose di esotismo nel nome.

Parola pubblicata il 09 Giugno 2023

Parole semitiche - con Maria Costanza Boldrini

Parole arabe, parole ebraiche, giunte in italiano dalle vie del commercio, della convivenza e delle tradizioni religiose. Con Maria Costanza Boldrini, dottoressa in lingue, un venerdì su due esploreremo termini di ascendenza mediorientale, originari del ceppo semitico.