Tosca

Le parole della musica

tó-sca

Significato Triplice parola di genere femminile: ‘tossica’, ‘toscana’ e ‘albanese del Sud’; è anche il titolo, dal nome della protagonista, di una nota opera di Giacomo Puccini, rappresentata al teatro Costanzi di Roma il 14 gennaio 1900.

Etimologia con il significato di ‘tossico’ è un esito popolare del latino tòxicum ‘veleno’; con quello di ‘toscano’, deriva dal latino Tuscus ‘etrusco’; nel terzo caso viene dall’albanese Toskë, appunto ‘albanese del sud’.

  • «Oggi vado al Teatro dell’Opera; danno la Tosca di Puccini.
  • E ora parliamo di Tosca, per salutare l’anno pucciniano che si è appena concluso.»

Sotto la grafia tosco convivono tre lemmi, tanto differenti che non hanno alcuna parentela, nemmeno nell’etimologia: ‘veleno’ (il tòssico è tòsco), ‘toscano’ (il tóscano è tósco) e il ‘tòsco’, ossia uno degli idiomi principali parlati in Albania. Toskë sono le popolazioni dell’Albania meridionale e la loro lingua, parlata anche fuori dei luoghi d’origine, comprese alcune zone d’Italia dove risiedono stabilmente gli Arbëreshe. Solo tòsco-veleno e tòsco-albanese-del-sud sono omonimi. Dall’accezione tósca-toscana discende il nome Tosca; esistono altri casi analoghi (per esempio Fiorentino o Romana) nei quali un nome proprio deriva da toponimi o etnonimi.

Il gioco di parole è dietro l’angolo. Da bravo toscano, Giacomo Puccini non se lo lasciò sfuggire; celiando, nel 1897 scriveva a proposito della «Tosca che m’attosca l’esistenza per la sua difficoltà». L’opera andò in scena il 14 gennaio 1900, nella stessa città dov’era ambientata, Roma. Nel corso dei tre atti, i tre protagonisti, Tosca, Cavaradossi e Scarpia, agiscono in tre luoghi: la chiesa di Sant’Andrea della Valle, Palazzo Farnese e Castel Sant’Angelo.

La trama era tratta dal dramma La Tosca di Victorien Sardou, una pièce non ‘bella’, ma confezionata su misura per l’attrice Sarah Bernhardt, ineguagliata, leggendaria interprete del teatro come di se stessa. Puccini s’innamorò del soggetto francese, affidando il libretto italiano a Luigi Illica e a Giuseppe Giacosa.

Nell’estetica pucciniana, musica e azione scenica formavamo un tutt’uno e ogni dettaglio dell’opera veniva sempre meticolosamente curato. La melodia gregoriana del Te Deum era precisamente quella che si cantava a Roma, l’intonazione della campana che suonava al terzo atto era la stessa di quella di San Pietro, e via dicendo.

Con spirito filologico ante litteram Puccini aggiunse uno stornello in vernacolo, affidato a un cantorino-pastorello. Il suo canto si muove su una scala tipica degli stornelli romaneschi (per gli addetti ai lavori: omofona del V modo gregoriano), armonizzata con successioni dirette di accordi allo stato fondamentale, teoricamente bandite dalla didattica compositiva ma che, procedendo per quinte parallele, ricercano l’autenticità popolare del canto bucolico.

Floria Tosca è una delle tante eroine pucciniane, in compagnia di Manon Lescaut, Madama Butterfly, La fanciulla del West, Suor Angelica e Turandot. Ancor prima di apparire in scena, chiama «Mario!», connotandosi immediatamente come ‘voce’ per eccellenza, cantante nella finzione teatrale e nella vita. Ama infatti il pittore Mario Cavaradossi, ma entrambi sono destinati a diventare vittime del barone Scarpia, odioso capo della polizia. Tutti e tre moriranno di morte violenta; lei, Tosca, sarà assassina e suicida. Sullo sfondo, l’occupazione francese all’indomani della prima Repubblica romana, nel gennaio 1800.

In pochissimi anni Tosca farà il giro del mondo consacrando alcune arie, come Vissi d’arte, interpretata per la prima volta dallo splendido soprano rumeno Hariclea Darclée. Una sequenza discendente di accordi in primo rivolto (con la terza dell’accordo alla parte grave), accompagna docilmente la melodia «Vissi d’arte, vissi d’amore». La tonalità di Mi bemolle minore s’accende gradualmente di passione, diviene maggiore, e culmina nell’accorata invocazione finale, acuta (sul Si bemolle) quanto dolorosa. Tosca affronta un ricatto impossibile: cedere a Scarpia o far fucilare Mario; sceglierà una terza, orribile, inutile via…

Il primo Cavaradossi fu Emilio de Marchi, ma il più famoso è Enrico Caruso (qui in un’incisione del 1909). La notissima aria E lucean le stelle inizia con una sorta di recitativo quasi monocorde, in cui è l’orchestra a eseguire, anticipandoli, i motivi che saranno cantati dal tenore. Le armonie e l’orchestrazione sono rade; gli strumenti sostengono la voce raddoppiandola all’unisono o all’ottava, sino al finale «io muoio disperato», sottolineato da crude quanto eleganti dissonanze.

E pensare che, nell’irriverente aneddotica romana del secolo scorso, si ricorda ancora una Tosca che, dopo essersi suicidata gettandosi dagli spalti, cominciò a rimbalzare sui materassi di sicurezza nascosti dietro le quinte, tra le risate generali.

Parola pubblicata il 19 Gennaio 2025

Le parole della musica - con Antonella Nigro

La vena musicale percorre con forza l'italiano, in un modo non sempre semplice da capire: parole del lessico musicale che pensiamo quotidianamente, o che mostrano una speciale poesia. Una domenica su due, vediamo che cos'è la musica per la lingua nazionale