Anomia
a-no-mì-a
Significato Carenza di norme
Etimologia voce dotta recuperata dal greco anomía, da ánomos ‘senza legge’, derivato di nómos ‘legge’ con a- privativa.
- «Un tessuto sociale sfilacciato genera una condizione di anomia.»
Parola pubblicata il 18 Ottobre 2025
Questa parola non è difficile perché è greca: è difficile perché è facile, e però non abbastanza comune da aver maturato un uso e dei significati univoci. Insomma, un sentiero preciso non c’è, e per la sua conformazione si può passare un po’ da dove si vuole.
Stiamo alla lettera: l’anomia è l’assenza di norme. La nostra immaginazione, che è spesso un po’ grossolana, corre all’anarchia. Saranno più o meno la stessa cosa, e in effetti l’anarchia è registrato come significato esteso di anomia — ma per favore, se ci vogliamo sbrodolare così serve il bavaglio. L’anarchia è l’assenza (o il rifiuto) del comando, che in greco è arché, dell’autorità, della gerarchia — e quindi delle loro norme imposte. L’anomia è una situazione molto più radicale.
Ora, sul concetto greco di nómos e sulla sua genesi sono state scritte molte cose importanti (è divisione, è pascolo, è precetto legale) ma non perdiamoci qui: se andiamo a prendere un dizionario di greco antico troviamo come primo significato quello di ‘uso, consuetudine’. Spesso sfugge che la norma non è solo quella emanata nero su bianco da un monarca, da un’assemblea, o da una divinità: le prime norme, che costituiscono il più profondo, capillare e resistente dei tessuti normativi, sono consuetudini spontanee. Un gruppo fa qualcosa in un certo modo per un certo tempo pensando che vada bene così: ecco la norma — che è un sentiero, un nome di pianta, un rito, un tracciamento di confine, una successione patrimoniale.
Gli aspetti della vita consociata che hanno bisogno di essere normati oggi sono soggetto di leggi sofisticate prodotte secondo procedure ben determinate — ma ci sono tanti aspetti della nostra vita in cui seguiamo norme sì, ma non di diritto.
L’anomia ha preso anche la veste di situazione in cui la presenza statale e normativa è carente — pensiamo a una situazione subito successiva a una rivoluzione o a un cataclisma, o a certi Stati sfilacciati che quasi non esistono più.
Ma l’anomia è risultata particolarmente interessante nell’ambito della sociologia (citata in modo molto ricorrente, da Durkheim a Bauman). È intesa in maniere piuttosto divergenti, ma possiamo generalizzare dicendo che si tratta del risultato di un cambiamento disorientante delle condizioni di vita: dalla perdita di una persona cara, all’impossibilità di un’onesta realizzazione personale, al venir meno di certi corpi sociali. Sono situazioni di vuoto o di caos (anche se sappiamo che l’etimologia ce li affratella), situazioni in cui non si è formata o riformata una norma in grado di garantire un orientamento, se non proprio un senso di sicurezza. E sono situazioni tipiche di questi tempi turbinosi, in cui ci muoviamo continuamente.
Possiamo parlare dell’anomia morale di una comunità senza prospettive, dell’anomia lavorativa o affettiva che fa perdere di senso ad attività e relazioni, della situazione di anomia in cui non si sa come far sentire una voce collettiva. Ma ecco: anche se è una parola dall’aria antichissima, fatta con materiali più vecchi delle prime colonne, è ancora in larga parte da scrivere e stabilire. Soffre un po’… di anomia.
Infine notiamo che esiste anche un’altra anomia, di ambito medico, che indica la perdita della capacità di dare un nome agli oggetti, pur se riconosciuti. Una situazione clinica che va oltre a quando non mi viene la parola se ti chiedo di passarmi il... il… il coso lì, dai.