Cabudanni

Dialetti e lingue d'Italia

ca-bu-dàn-ni

Significato Varietà linguistica: sardo — settembre

Etimologia dal latino caput anni, la testa, cioè l’inizio dell’anno.

  • «Como non potzo: torra su noe de cabudanni, pro praghere», 'ora non posso, torna il nove di settembre, per piacere' (frase in Sardo, ortografia Limba Sarda Comuna)

Si avvicina la fine dell’anno, e siamo tutti certi, con Leopardi, che coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?

Dunque il capodanno, capo-di-anno, l’estremità, l’inizio d’anno è quello che festeggeremo tra qualche giorno. E quale parola migliore di questa?

L’unico problema è che in sardo significa ‘settembre’. Ed è parola interessantissima per molti motivi. Il primo è che è un autentico relitto di caso genitivo e di forma completa del latino caput, con tanto di -t finale. Cabudanni (in alcuni dialetti della Sardegna addirittura caputanni) è proprio caput anni ‘testa dell’anno’, mentre in italiano si ha una formazione molto meno aderente al latino, dato che è proprio capo-di-anno, con la preposizione ‘di’.

Nella nostra società, tutti ne abbiamo percezione anche se raramente si dice in modo esplicito, il vero inizio simbolico dell’anno è per davvero settembre: a settembre si torna dalle vacanze, inizia la scuola, ci si iscrive in palestra per poi non andarci mai, ci si ripromette che si leggerà di più, e si fanno tutti i buoni propositi del caso. In francese si usano una parola precisa e utilissima, la rentrée (‘il rientro’, ‘il ri-inizio’). Prima di Giulio Cesare a Roma l’anno iniziava il primo marzo, e questo spiega perché il nono mese si chiama sette-mbre’, e perché dicembre non si chiama dodicembre. Poi con la riforma del calendario giuliano e per tutto l’Impero l’inizio fu posto al primo gennaio; con il medioevo la situazione si fa complicata e in ogni zona l’anno inizia in giorni leggermente diversi, dipendendo dalle feste locali, dai santi patroni, e da altre consuetudini: gli esperti di storia del calendario sanno che per certi eventi storici avvenuti in primavera (per esempio a marzo di un certo anno) si riportano, negli archivi locali, anni diversi tra Firenze e Pisa perché in una città il nuovo anno si considerava iniziato, mentre nell’altra ancora no. Si ricomincia a contare gli anni dal primo gennaio con l’altra grande riforma calendariale, quella gregoriana – che sistema gli anni bisestili, perché Giulio Cesare ne aveva messi un po’ troppi — del 1582.

Ma comunque, nella Sardegna tradizionale l’anno doveva certamente iniziare a settembre, mese in cui quasi tutti i lavori agricoli erano conclusi, ci chiudevano e rinnovavano i contratti annuali e s’iniziava a preparare i campi per la nuova annata. E come al solito la Sardegna fa storia linguistica a sé: è tra le pochissime zone, se non l’unica, dove è ancora viva la memoria, anche se ormai di uso marginale, dei nomi tradizionali dei mesi.

Alcuni (ghennàrgiu, freàrgiu, martzu, abrile, austu) hanno nomi riconoscibili; altri invece conservano forme davvero arcaiche e preziose: làmpadas è giugno, trìulas (letteralmente ‘trebbie, trebbiature’) o in altre zone argiolas (letteralmente ‘aie’, dove si riconosce la stessa base latina dell’italiano ‘aiuole’) è luglio, santugaine (letteralmente ‘San Gavino’) è ottobre, santandria è novembre e nadale è dicembre. Proprio così, nadale in sardo non vuol dire ‘Natale’, ma è passato a significare ‘dicembre’, probabilmente attravaerso una fase intermedia in cui si diceva su mese de Nadale ‘il mese di Natale’. E allora, come si dice ‘Natale’? Si dice Pasca de Nadale ‘Pasqua, cioè grande festa religiosa, di Dicembre’. E Pasqua, allora? Di pasque ce ne sono altre tre, sa Pasca de sos Tres Res (la Pasqua dei Tre Re, l’Epifania) sa Pasca Manna (la Pasqua Grande, ovvero la festa della Resurrezione), e sa Pasca ‘e Frores ‘la Pasqua dei Fiori’, la Pentecoste, 7 settimane dopo, che, cadendo tra metà maggio e metà giugno circa, ci mostra una Sardegna fiorita, più splendida che mai.

Parola pubblicata il 29 Dicembre 2025 • di Carlo Zoli

Dialetti e lingue d'Italia - con Carlo Zoli

L'italiano è solo una delle lingue d'Italia. Con Carlo Zoli, ingegnere informatico che ha dedicato la vita alla documentazione e alla salvaguardia di dialetti e lingue minoritarie, a settimane alterne esploriamo una parola di questo patrimonio fantasmagorico e vasto.