Cornacchia

Parole bestiali

cor-nàc-chia

Significato Nome comune della specie Corvus corone, appartenente alla famiglia dei corvidi

Etimologia dal latino cornicula, diminutivo di cornix, ‘cornacchia’, da una radice indoeuropea di probabile origine onomatopeica.

  • «Non fare la cornacchia, andrà tutto bene».

Uccelli del malaugurio: questa la triste etichetta che accomuna corvi e cornacchie, accusati di portare sfortuna. Di conseguenza “uccellaccio”, “corvo” o “cornacchia” sono gli appellativi tipici degli iettatori, ossia persone che predicono esiti negativi con gioia maligna, tanto che sembrano attirarli.

Il motivo è presto detto: i corvidi sono da sempre associati alla morte, sia per il loro colore nero, sia perché non disdegnano di nutrirsi di carcasse. Per lo stesso motivo non sono considerati un cibo appetibile, benché la loro carne non abbia un cattivo sapore. Addirittura nella lingua inglese “mangiare cornacchie” (eating crows) è quasi equivalente al nostro “ingoiare il rospo”, anche se ha un uso più ristretto: indica la pubblica umiliazione di chi ha sostenuto con convinzione una certa tesi, che poi si rivela palesemente falsa.

Peraltro la cornacchia gode di una fama ancora peggiore di quella del corvo, perché sembra meno aggraziata e intelligente. Infatti nelle favole l’astuto corvo mette a segno, di quando in quando, qualche bel tiro, mentre la cornacchia fa sempre figure barbine. Come in quella favola di Fedro in cui una cornacchia si veste di penne di pavone per sembrare più bella, ma viene miseramente smascherata.

E sì che i corvidi sono – ormai è assodato – tra gli uccelli più intelligenti: dal punto di vista del problem solving pare siano paragonabili a un bambino di sette anni. Sanno usare e perfino realizzare strumenti per raggiungere i propri scopi, anche progettando le loro azioni sul lungo periodo. Inoltre sono abilissimi nel riconoscere i volti umani, per cui attenzione a offendere una cornacchia: si ricorderà di voi. Non solo: come ha dimostrato il ricercatore americano Marzluff, l’offeso volatile vi segnalerà a tutto il suo gruppo, per cui se ripasserete dallo stesso punto a distanza di qualche anno potreste essere assaliti da uno stormo di cornacchie furibonde.

Anche il verso rauco e stridente dei corvidi, così distintivo da essersi impresso nei loro nomi, non contribuisce certo alla loro rispettabilità. Tuttavia ha dato origine a un proverbio simpatico, che nasconde un piccolo enigma etimologico.

Nel dialetto napoletano e pugliese, per descrivere una persona che rimanda continuamente a domani le cose da fare, si dice che fa “cra cra come la cornacchia”. Ma cosa c’entra il cra-cra con il domani? Il fatto è che il nostro “domani” è un parto del latino tardo e significa letteralmente “domani mattina” (de mane). Nel latino classico si usava un’altra parola, cras, sopravvissuta in alcuni dialetti (tra cui appunto il napoletano, il pugliese e anche il sardo), nonché nel termine dotto “procrastinare”. Con il loro “cra cra”, dunque, le cornacchie parlano latino meglio di noi.

Non solo: hanno lasciato le loro orme su parole di tutto rispetto, ammesse anche nelle migliori corti. Il loro nome greco, korone, ha dato origine a “corona”, mentre quello latino, cornix, a “cornice”. Infatti il loro becco è notoriamente sporgente e ricurvo, come quello dei corvi (per questo “curvo” e “corvo” hanno la stessa radice). Dunque, per estensione metaforica, il loro nome è passato a indicare oggetti rotondi, come le corone dei sovrani, e/o sporgenti, come le cornici dei palazzi e dei quadri.

Il che ci porta a una divertente conclusione: il ritratto di una testa coronata altro non è, a ben vedere, che una cornacchia al quadrato.

Parola pubblicata il 24 Luglio 2023

Parole bestiali - con Lucia e Andrea Masetti

Un lunedì su due, un viaggio nell'arcipelago dei nomi degli animali, in quello che significano per noi, nel modo in cui abitano la nostra vita e la nostra immaginazione.