Cratere

cra-tè-re

Significato Nell’antichità, ampio vaso per miscelare acqua e vino; bocca del vulcano; depressione circolare

Etimologia voce dotta recuperata dal latino cràter, prestito dal greco kratér ‘vaso per miscelare vino e acqua’, e quindi ‘bocca di un vulcano’, dalla radice del verbo keránnymi ‘mescolare’.

Il sofista Protagora è rimasto famoso per il suo detto «L’uomo è misura di tutte le cose» — eloquente, variamente interpretabile, e continua fonte di riscontri. Perché ad esempio ci possiamo accorgere di come concetti essenziali di scienze quali la geologia, la geografia e l’astronomia, che si spingono al limite delle sfere umane, ad esempio non possano fare a meno del nome di un certo oggetto, a lungo usato in vecchie feste. In tutta la realtà riconosciamo eco delle nostre esperienze.

Vedendo la parola cratere, dentro possiamo leggerci la stessa radice di altri termini quali idiosincrasia, crasi, discrasia: tutte parole ricercate, derivate dalla radice del verbo greco keránnymi che significa ‘mescolare’. Così l’idiosincrasia è il carattere proprio, espresso come una mescolanza propria, personale, la crasi è una fusione fra vocale finale e iniziale di due parole (fenomeno proprio del greco antico, ma che oggi viene volentieri inteso in senso lato), la discrasia è una cattiva mescolanza di umori corporei che, secondo l’antica medicina ippocratica, sarebbe fonte di patologie. Il cratere è invece, semplicemente, il vaso in cui si mescola.

Ce ne sono arrivati molti, e molti straordinari e portatori di racconti meravigliosi e struggenti del passato, specie risalenti alla prima metà del primo millennio avanti Cristo: grandi vasi, dall’ampia apertura, trasportabili in due, in cui il vino — che dobbiamo immaginarci come una bevanda più forte di quella che conosciamo oggi — veniva miscelato con acqua. Solo gli dei e barbari lo bevevano schietto. Dal cratere si attingeva ad esempio durante i simposi, in cui il capo scelto, il simposiarca, decideva diluizione e numero di brindisi confacenti alla situazione e ai toni che voleva prendesse la discussione.

Così, dalla bocca rotonda di questo vaso miscelatore tanto carismatico, già i Greci presero il nome per il cratere dei vulcani, la cavità circolare che vi si trova in cima, da cui ci aspettiamo le eruzioni. Ma l’italiano, a recuperare questa immagine, ci ha messo molti secoli: se il cratere quale vaso è (in diverse varianti) richiamato fin dal Trecento, si dovrà attendere il Settecento per trovarlo attagliato a bocche vulcaniche prima e a depressioni circolari di varia natura poi. Ad esempio, Galileo non chiamò ‘crateri’ quelli che con così gran dettaglio vide sulla superficie della luna.

Quella che per un greco antico era un’associazione immediata e naturale fra le forme di elementi del suo mondo — vaso e vulcano — in italiano ha avuto insomma un tenore più dotto. Almeno finché non è percolata nel lessico comune, e il profilo della sua immagine di depressione rotonda, specie generato da esplosioni vulcaniche e impatti meteoritici, non ha intriso l’immaginario comune più normale. Cosicché oggi possiamo parlare anche del cratere lasciato dal petardo nella sabbia e dal peso caduto sulle piastrelle, come anche dal brufolone sulla pelle, dal sederone sul divano.

Meraviglioso che il nome di una forma comune derivi da una funzione perduta. Meraviglioso che le parole sappiano conservare in scorci vividi vestigia simili.

Parola pubblicata il 22 Luglio 2020