Dongiovanni
don-gio-vàn-ni
Significato Seduttore libertino e galante
Etimologia da Don Giovanni, (in spagnolo Don Juan), nome di un personaggio della letteratura e del teatro europeo.
Parola pubblicata il 15 Novembre 2019
L'italiano sul palcoscenico - la Settimana della lingua italiana nel mondo 2019 (in India)
Su incarico dell'Istituto Italiano di Cultura di Mumbai, oltre che del Consolato Generale d'Italia a Mumbai e con l'associazione dell'Istituto Italiano di Cultura di Nuova Delhi, la settimana dall'11 al 17 novembre vi proponiamo un ciclo di sette parole con cui ripercorrere la storia del teatro in Italia, da quello antico al contemporaneo: festeggeremo così la XIX Settimana della lingua italiana nel Mondo (in India è differita a questa settimana). Questa edizione gravita sul teatro e l'opera: le parole sono di Giorgio Moretti, gli approfondimenti sul teatro di Lucia Masetti.
Non sempre i personaggi vivono in una sola narrazione, anzi. Capita spesso che i grandi personaggi siano presi, ripresi, cambiati, riproposti in una grande quantità di opere su mezzi artistici disparati. Don Giovanni è un caso esemplare; e questo fa sì che tratteggiarlo richieda un certo sforzo di astrazione, per trovare il massimo comun divisore di tutte le narrazioni in cui compare. Ma un modo molto semplice per trovare questi tratti è andare a leggere quali sono diventati i significati che popolarmente, per antonomasia, sono stati associati al suo nome.
Un dongiovanni, in italiano (ma vale anche per l’equivalente spagnolo) è essenzialmente un grande seduttore. Galante, intraprendente, spregiudicato e senza grandi scrupoli morali per il male che può causare, concentra le sue attenzioni sull’amore infatuato, libero e facile, sulle sue coperture, e sui duelli a cui viene sfidato da mariti e padri.
Come sappiamo, le grandi opere danno spesso origine a dei sequel o a degli spin off, e sappiamo anche che i sequel e gli spin off possono essere grandi successi (il Don Giovanni di Mozart è più complesso e ricco di quello di Tirso De Molina, che pure era il primo) ma possono moltiplicarsi in modo elefantiaco, ed essere tirati talmente per le lunghe (nel tentativo di spremere tutto quello che si può spremere dall’idea originale) che diventano delle schifezze superficiali e trite. Se a un’opera o a un personaggio capita la sorte di fare questa brutta fine, come è accaduto a Don Giovanni, finito ad essere stiracchiato come una macchietta nei teatrini di mezza Europa, resta però un punto di rilievo: è il fenomeno dell’antonomasia, ed è qualcosa che capita solo alle opere e ai personaggi davvero popolari. Se diciamo che l’amico è un vero dongiovanni, intendiamo che è sì un corteggiatore galante e indefesso e capace, ma anche che si appiattisce sulle sue liaison amorose: fra grandi opere e spin off miserabili, il popolo è riuscito a raccogliere il fiore di questo personaggio emerso in superficie, cristallizzato in un archetipico.
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Come disse un comico statunitense, “l’opera è un posto dove un uomo viene pugnalato e, invece di morire, canta.” Pure questo teatro cantato, fatto di sentimenti assoluti e trame inverosimili, ha avuto un ruolo fondamentale: in Italia ha cementato l’unità nazionale e all’estero si è imposto come il nostro biglietto da visita. È dunque un genere orgogliosamente italiano che però, proprio perché aperto ai contesti più diversi, ha assunto un’impronta multiculturale.
Prendiamo il Don Giovanni, ad esempio. Seduttore compulsivo, indifferente sia alla morale che ai sentimenti altrui, trova la sua fine quando, per scherno, invita a cena uno spettro; questi infatti arriva davvero e lo trascina all’inferno. La storia compare per la prima volta nel Seicento in una commedia spagnola, dove però don Giovanni è semplicemente un predatore di gonnelle: una figura piatta, più “tipo” che personaggio. Vent’anni dopo, in Francia, Molière lo trasforma in un ateo sacrilego, pronto a sfidare le potenze celesti; al peccato della carne si aggiunge così quello, più grave, dello spirito. Infine l’opera dell’austriaco Mozart, basata sul testo dell’italiano Da Ponte, ne fanno non solo un personaggio complesso, ma un mito, catalizzatore di desideri e paure universali.
La sua lussuria, anzitutto, appare come il sintomo di un incontenibile slancio vitale: come la musica stessa, la vita di don Giovanni è un flusso mutevole e continuo al tempo stesso. Inoltre la ribalderia antireligiosa assume, nello scontro con lo spettro, una tragica grandezza. Infatti all’esortazione “Pentiti!” don Giovanni risponde con tre tonanti “No!”, in cui si fondono il coraggio di chi resta fedele a se stesso fino in fondo e l’orgoglio di chi si oppone a Dio mettendosi sul suo stesso piano.
Certo don Giovanni resta un personaggio negativo, macchiatosi perfino di omicidio; eppure sfugge a un giudizio semplicistico. Tanto che pensatori successivi – a partire dal tedesco A. T. Hoffmann – ne hanno ribaltato l’interpretazione. Per loro Don Giovanni è immagine dell’uomo che, spinto da un desiderio infinito, cerca un amore altrettanto infinito; lo cerca, però, accumulando amori finiti, necessariamente insoddisfacenti. Da qui, forse, la frenesia quasi rabbiosa che caratterizza il personaggio mozartiano. Così Don Giovanni è diventato simbolo di una condizione tipicamente umana: l’ansia di superare la propria costitutiva solitudine nel rapporto con l’altro, e lo slancio di un desiderio che è sempre più grande dei propri oggetti.