Drudo
drù-do
Significato Amante
Etimologia dal provenzale drut ‘amico, amante’, probabilmente dalla voce francone ricostruita come drūd ‘caro, amato’.
- «Ah ma è lei la sua druda?»
Parola pubblicata il 02 Luglio 2025
drù-do
Significato Amante
Etimologia dal provenzale drut ‘amico, amante’, probabilmente dalla voce francone ricostruita come drūd ‘caro, amato’.
Parola pubblicata il 02 Luglio 2025
È tremendo vedere come la lessicografia, specie in tempi più risalenti, abbia liquidato il drudo come ‘amante disonesto’, e l’abbia collegato al vile: è frutto di una direzione morale, perché il drudo sarebbe esattamente il contrario. Palleggiamo un po’ questo squisito termine di antica poesia per vedere che fa e che ci può dare.
Nella poesia medievale in provenzale — forse, al suo apogeo, la più raffinata dell’epoca — drut significava amante e amico. Già così possiamo notare che la nostra profonda e drammatica separazione fra questi due concetti gemelli sia frutto di un’intercisione tutt’altro che scontata, ma il drut arriva a questi significati attraverso la lealtà. È una parola di ascendenza germanica, probabilmente derivata dalla voce francone che si ricostruisce come drud, ‘caro, amato’; si dovrebbe poter ricondurre a una radice proto-germanica (in ipotesi, trausta-), da cui scaturiscono termini anche celebri di intimità e affidabilità, dal traut tedesco, che è intimo e caro, al trust inglese, che è fiducia e affidamento.
Queste ragazze sognanti, questi estasiati ragazzi che leggevano le poesie d’amore provenzali avevano una grande confidenza con la figura cortese del drut, tant’è che ‘drudo’ è attestato in italiano già negli anni ‘70 del Millecento. E ha avuto il tempo di essere esplorato in vaste sfaccettature. Fedele nell’amicizia e nell’amore, amante dichiarato o ganzo coperto, che per estensione si fa gagliardo, leggiadro (anche questi provenzalismi fondamentali), affettuoso, valoroso, incline al piacere.
Il pedigree non teme paragoni, la versatilità è estrema (anche se di solito è l’amante); certo resta un termine ricercato e non immediatamente accessibile a chiunque, ma possiamo contare qualche altro pregio.
Le parole poco battute hanno la caratteristica (vantaggiosa o svantaggiosa a seconda della prospettiva) di portare al nostro orecchio significati meno netti, meno univoci. Il nome dell’amante, il nome dell’amico è talmente frequentato che uscire dalla considerazione comune, dalle solite impressioni, è praticamente impossibile. Il drudo invece, a dispetto dei suoi quasi nove secoli d’uso, ci lascia dello spazio bianco d’immaginazione.
Inoltre ha un suono frizzante, ruvido ed energico, che desta simpatia — più di quanto non faccia ad esempio un collega medievale come l’amasio, più sfiatato e svenevole.
E poi, questa zona di significati è così densa di nomignoli, eufemismi, regionalismi, cultismi, che in effetti, anche se in astratto può essere difficile che chiunque sappia rispondere alla domanda «Che vuol dire ‘drudo’?», se io do di gomito all’amico accennando all’interazione fra due e sussurro «Visto? È il suo drudo!», ha la sola allusività, la sola copertura della sua ricercatezza.
Così possiamo parlare della druda del collega che ormai viene sempre a prenderlo a fine turno, dei drudi con cui l’amica va a fare alpinismo, del vecchio drudo che rivediamo con piacere.
Una risorsa piacevolissima, da tener di conto.