Dualismo

Le parole e le cose

dua-lì-smo

Significato Concezione filosofica che legge nella realtà la coesistenza di due principi antitetici; contrasto

Etimologia da duale, voce dotta recuperata dal latino dualis ‘di due’, derivato di duo ‘due’.

  • «Lei è così, concepisce il giusto e lo sbagliato in un dualismo rigidissimo.»

Nato nel 1596 a La Haye-en-Touraine, villaggio della Francia centroccidentale ribattezzato poi Descartes in suo onore, Cartesio (René Descartes) condivide più di un tratto col ‘collega’ inglese Francis Bacon, nato 35 anni prima di lui. Intanto la morte, dovuta per entrambi a polmonite contratta ‘in servizio’: nel caso di Bacone, imbottendo di ghiaccio un pollo per sperimentare gli effetti del freddo sulla conservazione delle carni, mentre a Cartesio – trasferitosi in Svezia su invito della regina Cristina – fu fatale la pretesa, da parte di quest’ultima, che il cagionevole filosofo sfidasse l’assai poco mite inverno svedese per recarsi da lei a discettare di filosofia alle cinque del mattino.

Meno aneddotica e più di sostanza è la ricerca, comune a entrambi, di un metodo conoscitivo migliore della logica aristotelica e medievale, che fosse in grado di fondare in modo certo la conoscenza. Mentre, però, Bacone aveva una prospettiva pragmatica, da naturalista interessato molto all’osservazione diretta dei fenomeni e assai poco alla teoria, Cartesio era un filosofo più ‘classico’, convinto che l’albero della conoscenza avesse come radici la metafisica, come tronco la fisica e per rami tutte le altre scienze. Ma queste radici dovevano poggiare su un terreno saldo, senz’ombra di sabbia. È così che Cartesio approda ad una visione dualistica della realtà.

Il dualismo, sia chiaro, non l’ha inventato lui. Bene e male, cielo e terra, realtà e apparenza, materia e spirito… Potremmo continuare a lungo: la visione dualistica delle cose, l’idea della coesistenza di due princìpi antitetici, pare proprio congeniale all’umano; ed è facile cogliervi, alla base, l’insoddisfazione per ciò che è, l’anelito ad una realtà perfetta, certa, vera. In filosofia, campione indiscusso del dualismo fu Platone, che contrapponeva la perfezione immutabile del ‘mondo delle idee’ alla natura difettosa e cangiante del mondo sensibile, l’anima divina e immortale al corpo terreno in cui era imprigionata. Aristotele liquidò in seguito tale posizione, definendo ogni cosa un sinolo, un’unione di materia e forma; e i pensatori rinascimentali, dal canto loro, erano semmai monisti – l’esatto contrario del dualismo – nel concepire un universo animato e costituito da un’unica sostanza vivente.

Ma il dualismo di Cartesio era assai diverso da quello platonico, perché serviva a fondare la conoscenza scientifica. Il pilastro del metodo cartesiano è l’evidenza, ossia l’accettare per vere solo idee chiare e distinte. Ma quali idee lo sono davvero?

A parte quelle della matematica, nessuna. E anch’esse, se ipotizzo che esista un genio maligno e potente che voglia ingannarmi, potrebbero essere fasulle. Colto dal dubbio radicale, «iperbolico», posso persino spingermi a dubitare della realtà della materia. Di cosa sono assolutamente certo, allora? Di pensare: se dubito, allora penso, e se penso esisto (cogito, ergo sum); ed esisto come sostanza pensante (res cogitans) la cui realtà è un’idea chiara e distinta, così come lo è il fatto che ciò che è esterno alla mia mente sia una sostanza diversa, caratterizzata non dal pensiero bensì dalla pura estensione materiale (res extensa).

René Descartes, raffigurato in un ritratto di Frans Hals del 1649 nell’atto di cogitare e quindi di essere. La capigliatura è un esempio di res estremamente extensa.

Le implicazioni di quest’idea sono colossali: la separazione tra sostanza pensante e sostanza estesa è separazione dell’anima dal corpo, dello spirito dalla natura; nel mondo fisico non ci sono qualità, forme, forze occulte o simili, e anche le qualità sensibili (colori, sapori, odori ecc.) non hanno alcuna esistenza oggettiva, dipendendo dai nostri organi di senso. La res extensa non è, appunto, altro che estensione e movimento, pronta ad essere misurata e piegata dagli umani ai propri scopi (compresi gli animali, che in quanto privi di anima altro non sono, secondo Cartesio, che ‘macchine’): a questo serviva il cogito, a fondare la possibilità di conoscere oggettivamente una natura disanimata, puramente quantitativa.

I contemporanei capirono subito quanto fosse problematica la rigida separazione cartesiana delle due sostanze: se res cogitans e res extensa sono ontologicamente diverse, com’è possibile che, con tutta evidenza, i corpi agiscano sulla mente e viceversa? Cartesio stesso ammette la difficoltà della questione, non trovando di meglio che ipotizzare un punto di comunicazione tra anima e corpo, situato nel cervello: la ghiandola pineale (o epìfisi).

Oggi possiamo anche sorridere di una tale ingenuità, eppure i filosofi non cessano tuttora di accapigliarsi sulla questione dei rapporti tra anima (oggi preferiamo dire ‘mente’, o ‘psiche’) e corpo (ossia cervello), laddove i dualisti non accettano l’idea che ogni stato mentale sia riducibile a stati fisici, biologici. E sbaglieremmo a ricondurre la loro visione allo zelo, tutto religioso, di salvare la possibilità di un’anima immortale: semplicemente, si fatica ad accettare che desideri, passioni, sentimenti, pensieri – ciò che chiamiamo ‘io’, insomma – altro non siano che nomi poeticamente imprecisi, meglio esprimibili in termini biochimici. Anche perché, in una prospettiva integralmente materialistica, tocca rinunciare anche a un’altra ideuzza alla quale siamo abbastanza affezionati – il libero arbitrio.

Parola pubblicata il 31 Maggio 2022

Le parole e le cose - con Salvatore Congiu

I termini della filosofia, dai presocratici ai giorni nostri: l’obiettivo è sfilare parole e concetti dalle cassette degli attrezzi dei filosofi per metterli nelle nostre — rendendo ragione della dottrina con la quotidianità. Con Salvatore Congiu, un martedì su due.