Arbitrio
Le parole e le cose
ar-bì-trio
Significato Facoltà di giudicare e decidere liberamente secondo la propria volontà; autorità, potestà; abuso, prepotenza, capriccio
Etimologia voce dotta recuperata dal latino arbitrium, derivato di arbiter ‘arbitro, giudice’.
- «Questa non è una scelta motivata, è un mero arbitrio.»
Parola pubblicata il 03 Maggio 2022
Le parole e le cose - con Salvatore Congiu
I termini della filosofia, dai presocratici ai giorni nostri: l’obiettivo è sfilare parole e concetti dalle cassette degli attrezzi dei filosofi per metterli nelle nostre — rendendo ragione della dottrina con la quotidianità. Con Salvatore Congiu, un martedì su due.
Ridicolo, stolto, sofista, ignorante, la cui dottrina non è che un «misto di colla e fango», «di spazzatura e di escrementi». Con questi ed altri epiteti Martin Lutero, fondatore della Riforma protestante, fustigava Erasmo da Rotterdam, il più eminente intellettuale del Rinascimento. Eppure, c'erano tutti gli ingredienti affinché i due andassero d'amore e d'accordo: Erasmo era critico nei confronti del culto dei santi e delle reliquie, sosteneva un ritorno al messaggio evangelico e aveva persino scritto un libello satirico su papa Giulio II, da poco morto – tutte cose assai gradite a Lutero. Ma su una cosa non potevano proprio intendersi: il libero arbitrio.
Nell'uso comune odierno, l'arbitrio è un abuso, un sopruso, una decisione meramente personale, fuori dalle regole. Eppure, in origine non è altro che la facoltà, letteralmente, di essere arbitro, sovrano decisore dei propri atti e giudizi. Ma la lingua parla di noi: di licenze divenute sopruso abbiamo ampia esperienza. In filosofia, però, la questione non è l'uso o abuso di tale facoltà, ma se questa libertà di scelta esista davvero. Attenzione: non la libertà di azione, che può risultare limitata per vari motivi – ad esempio, non posso fare una passeggiata perché sono azzoppato – bensì, appunto, di scelta: quando decido di fare una passeggiata, la mia decisione è davvero libera? O qualcosa la determina a mia insaputa?
Gli antichi, in realtà, non hanno mai creduto alla libertà dell'arbitrio umano: siamo soggetti agli dèi, al fato e alla natura. Perciò, secondo i Greci, solo la conoscenza rende davvero liberi, simili agli dèi, mentre l'ignorante, non conoscendo il valore delle diverse opzioni, non può mai agire liberamente. La prospettiva dei filosofi cristiani era invece incentrata su un binomio problematico: un individuo che per le sue azioni riceve premi (il paradiso) o punizioni (l'inferno) e un Dio onnipotente e onnisciente, che conosce in anticipo tutto ciò che accadrà. Se, quando facciamo il male, Dio lo sapeva già – quindi siamo predestinati a farlo, e per giunta condizionati dal peccato originale – che senso ha che poi veniamo puniti per ciò che facciamo?
La risposta dei filosofi cristiani si muoveva su una lama di rasoio: il peccato originale ha sì ferito il libero arbitrio, ma non lo ha annullato completamente; e quanto alla predestinazione, Dio sa già tutto ciò che gli umani faranno ma essi restano liberi di farlo, perché la Grazia divina è sempre offerta a tutti, quindi chi la rifiuta si danna da sé, liberamente. Erasmo, da buon pensatore umanista desideroso di conciliare la fede cristiana con la visione di un’umanità artefice del proprio destino, non poteva che condividere questo punto di vista. Non così Lutero, che infatti replicò al De libero arbitrio di Erasmo con un provocatorio De servo arbitrio. Per lui, profondamente pessimista sul genere umano – i cui atti valgono zero presso Dio –, il peccato originale non ci ha semplicemente inclinato al male, ma ha corrotto irrimediabilmente la nostra natura. Nessuno può fare il bene per una decisione volontaria, ma solo per l'intervento diretto della Grazia.
A sinistra Erasmo, in un ritratto di Holbein il Giovane, non sembra aspettarsi il colpo di Lutero, raffigurato a destra da Lucas Cranach il Vecchio. Attento, Erasmo!
Ovviamente, Erasmo non poteva accettare una simile visione, che negando l'autodeterminazione umana minava le basi stesse dell'Umanesimo; ma una delle sue argomentazioni contro Lutero è particolarmente interessante: «Supponiamo dunque (…) che qualunque cosa da noi fatta non sia opera del libero arbitrio ma della pura necessità, cosa v'è di più inutile che divulgare questo paradosso ai profani? […] Se lasciassimo circolare tra il popolo un tale asserto, ciò basterebbe per aprire ad innumerevoli mortali una larga porta all'empietà». Confrontiamola con questi brani di email ricevute da Galen Strawson, un filosofo britannico contemporaneo: «L’anno scorso avete contribuito a distruggere la mia vita […] Mi avete detto che non avevo nessun controllo sulla mia vita, che non ero responsabile di ciò che facevo, che mio figlio non era responsabile di quello che faceva».
In qualche caso, i messaggi si sono fatti così minacciosi da richiedere l'intervento della polizia. Perché tanto odio? Strawson afferma di comprenderlo: per molte persone, le ricerche sue e di altri filosofi e neuroscienziati rappresentano «una catastrofe esistenziale» perché mostrano che, quando andiamo a fare una passeggiata – per non parlare di quando commettiamo un crimine – la nostra scelta non è affatto libera. Non per la predestinazione o il peccato originale, ma perché siamo determinati da cause – fisiche, biochimiche – che agiscono prima e sotto la nostra coscienza. Insomma, il libero arbitrio è un'illusione. Magari necessaria, ma un'illusione. Curiosa convergenza tra la posizione di Lutero – che da eterni umanisti non possiamo che bollare come cupamente antimoderna – e una parte rilevante della scienza contemporanea.
Ma siamo davvero sicuri che ritenere il libero arbitrio illusorio aprirebbe a noi mortali, come temeva Erasmo, una «larga porta all'empietà»? O questa consapevolezza non ci renderebbe invece più umili, più tolleranti e meno boriosamente nocivi? Nel dubbio, continuiamo a comportarci bene, e soprattutto non mandiamo email minatorie.