Elativo
e-la-tì-vo
Significato In grammatica, di aggettivo che ha valore di superlativo assoluto, e di caso, che indica movimento dall’interno verso l’esterno di un luogo; che tende a elevare, espandere, allargare
Etimologia dal latino elatus, participio passato di ècferre nel senso di ‘elevare’, derivato di ferre ‘portare’ col prefisso ex- ‘fuori’, col suffisso di altri termini grammaticali.
- «Il commento all'opera è davvero elativo, apre interi mondi d'interpretazione.»
Parola pubblicata il 05 Ottobre 2023
Va da sé che sia una parola alta, dato che ci vuole parlare di estensioni e innalzamenti. Vive in ambiti diversi — soprattutto come tecnicismo di linguistica e grammatica, ma come vedremo ha uno spazio di significato davvero versatile. Notiamo che è una parola che ha una struttura semplice, semplice il suo nucleo semantico, e però genera un’immediata impressione di ricercatezza. Proprio il genere di parola che può fare la differenza saper padroneggiare.
Nasce da elatus, che è il participio passato del verbo ecferre, ‘portare fuori’ (fero è ‘portare’). Ma capiamo subito che un significato così mastodontico si presta a scrosci di significati ulteriori: questo ‘portare fuori’ è un estrarre, portare alla luce, e quindi anche un produrre, di campo ma non solo, e un manifestare; ciò che si porta fuori da un dentro che è basso finisce anche in alto, e l’ecferre si fa innalzare, celebrare, gloriare. (Meraviglia che sgomenta, la diramazione per analogie e prossimità della pianta del pensiero.)
Iniziando dagli usi specialistici, in grammatica un caso elativo (che ad esempio possiamo trovare nelle lingue ugro-finniche) semplicemente flette una parola dandole la funzione di un complemento di moto dall’interno verso l’esterno di un luogo. Invece, più vicino alla nostra esperienza è l’elativo in quanto grado superlativo assoluto dell’aggettivo — in effetti lo possiamo considerare sinonimo di ‘superlativo’. Molto interessante è anche il comparativo elativo (scolasticamente più noto come ‘comparativo assoluto’) che esprime con la forma di un comparativo con un termine che piuttosto è assoluto, a cui manca un secondo termine di comparazione. Lo troviamo in maniera ricorrente in latino — anzi in parole latine che usiamo tutt’oggi: senior e iunior sono propriamente ‘più vecchio’ e ‘più giovane’, ma non li usiamo come comparativi, e anche il brevior è spesso solo un ‘piuttosto breve’.
A fare qualche passo nella storia dell’aggettivo ‘elato’ (levato in alto, sollevato, innalzato) si ha la sensazione di entrare in un luogo che fu ricco e densamente frequentato, e che ora è desolato. Colli elati, cuori elati si spartiscono le esaltazioni dell’eminenza e dell’orgoglio — ma questo elato è desueto da molto tempo. Invece è nel Novecento che l’elativo ha trovato le sue maggiori fortune, anche se di recente è recessivo. Ci parla non di ciò che è elevato — così, diretto, squadernato, concluso — ma di ciò che tende ad allargare, a elevare.
Un’esperienza elativa ci lascia con orizzonti più vasti di prima, nella discussione un intervento elativo spazza ciò che è stato detto e lo porta a un livello a cui le altre persone cercheranno di adeguarsi, una descrizione elativa offre un’amplificazione della realtà. Vediamo, l’elativo, in accezioni specifiche e no, non è lontano dal superlativo (nemmeno etimologicamente...) — però fa meno strepiti, è meno smaccato, la sua immagine rimane più sospesa e delicata; inoltre ha un tratto più funzionale, più determinativo di una tendenza, più incline a improntare. Dispetto di una derivazione così tanto semplice non è una parola semplice da usare, e però ‘elativo’ è una parola elativa. Belle le autologie.
[Peraltro — e lo lasciamo come suggestione per altre indagini — siamo nella sfera contraria all’illativo e all’illazione.]