Formica

Parole bestiali

for-mì-ca

Significato Nome generico della famiglia dei formicidi, che comprende circa 15.000 specie e appartiene, insieme alle vespe, alla superfamiglia vespoidea. Da non confondere con le termiti, che sono invece apparentate alle blatte

Etimologia dal latino formicam, di origine indoeuropea.

  • «Certo che ho messo da parte a sufficienza, io sono una formichina.»

“Dammi qualche semino da mangiare!” chiese la cicala alla formica, quando cominciò l’inverno. “Li avresti anche tu, se la scorsa estate avessi fatto provviste – le rispose la formica – Non facevi che cantare: adesso balla!”. Questo celebre dialoghetto di Esopo ha consacrato la formica come emblema di laboriosità e previdenza, e non a torto.

Molte specie di formiche sono oculatissime nell’approvvigionamento: accumulano semi nel formicaio, coltivano funghi o piante, o ancora si dedicano all’allevamento di altri insettini che mungono per ottenerne un liquido dolciastro, la melata. Alcune, come nel caso delle formiche mellifere, si trasformano persino in botti viventi, da cui le compagne possono attingere in caso di bisogno.

Non è però il singolo insetto a essere previdente. In media le formiche hanno un cervello grande come un granello di sale: è la colonia a pensare per loro. Non è neppure detto che tutte le formiche siano un fulgido esempio di laboriosità, anzi molte non fanno nulla dalla mattina alla sera. Sono le riserve, pronte a intervenire in caso di un’ecatombe in modo che l’attività della colonia non rallenti mai.

In pratica è come se le formiche fossero le cellule di un super-organismo, che agiscono in maniera perfettamente coordinata grazie ai messaggi chimici che si scambiano. E, come le cellule, tendono a specializzarsi in compiti molto specifici.

Regine e fuchi si occupano della riproduzione, mentre le operaie dell’amministrazione ordinaria. Talora le loro dimensioni variano in base ai ruoli: le più piccole lavorano all’interno del formicaio (per esempio prendendosi cura delle larve), le più grandi procacciano il cibo. Un’operaia maggiore può arrivare a sollevare fino a 50 volte il proprio peso; fatte le debite proporzioni, è come se un uomo sollevasse un elefante.

Proprio questa perfetta organizzazione è la chiave del successo delle formiche, che si sono diffuse dai deserti alle calotte polari. Sono difficilissime da eradicare e sorprendentemente agguerrite nonostante le dimensioni, come sa chiunque si sia trovato troppo vicino a un formicaio. Da qui anche l’espressione inglese “avere le formiche nei pantaloni” (to have ants in one’s pants), detto di chi è molto inquieto e impaziente.

In Italia invece “avere le formiche nelle gambe” ha un significato diverso, ma comunque poco piacevole: è quel formicolio che ci prende una gamba o un piede dopo essere stati seduti a lungo in una posizione erronea, e con il quale i nervi ci comunicano che non stanno ricevendo un adeguato afflusso di sangue.

Diverse specie peraltro vantano un’apposita schiera di formiche soldato, programmate per difendere il nido a tutti i costi. Ma anche le operaie non sono prive di armi: alcune possiedono un pungiglione, o possono spruzzano veleno sui nemici. La formica rossa, per esempio, ha un serbatoio incorporato di acido detto, appunto, formico, da cui deriva anche la formaldeide (a sua volta quest’ultima è usata nella produzione di un laminato chiamato perciò fòrmica). Le operaie della specie Colobopsis explodens arrivano perfino a farsi esplodere per abbattere i nemici.

Insomma si comprende che per i latini le formiche fossero una manifestazione di forze oscure, tanto che il loro nome viene dalla stessa radice di formido (spavento) e quindi di “formidabile” (che incute paura). E lo stesso accostamento c’era già nella lingua greca. Non per nulla i prodi guerrieri che Achille guidò alla conquista di Troia erano chiamati mirmidoni, ossia letteralmente… formiconi.

Parola pubblicata il 02 Gennaio 2023

Parole bestiali - con Lucia e Andrea Masetti

Un lunedì su due, un viaggio nell'arcipelago dei nomi degli animali, in quello che significano per noi, nel modo in cui abitano la nostra vita e la nostra immaginazione.