Georgico

ge-òr-gi-co

Significato Relativo alla vita e alla coltivazione dei campi

Etimologia voce dotta, recuperata dal latino georgicus, prestito dal greco georgikós ‘dell’agricoltore’, da georgós ‘agricoltore’, composto di ‘terra’ e dal tema di érgon ‘lavoro’.

  • «È un poema georgico, tratta della coltivazione delle cipolle di Certaldo.»

Non è una parola che abbia a che fare con chi si chiama Giorgio, o meglio, non direttamente: un nesso etimologico c’è.

Quando vogliamo parlare di ciò che attiene alla vita nei campi, abbiamo una tavolozza di parole delle più variegate e colorite, ciascuna con il suo taglio particolare e la sua sfumatura netta — dalle più ruvide alle più oleografiche.

Abbiamo la schietta bonomia del campagnolo, adatto a gente e a salumi, il profilo paesaggistico del campestre, che dà base mossa a chiese e corse, la gravità latina del rurale, geografico, architettonico e catastale, l’atmosfera di stile e di gusto campita dal rustico, gaudente e ruvido, la delicatezza contadina dell’agreste, aggettivo per comunità, economie, quieti — senza scordare l’idillio del bucolico, che idealizza la campagna, o il meno comune villereccio, che usa il riferimento antico alla villa per indicare in maniera versatile le cose gli usi e le persone della campagna, con quel suffisso -ereccio che ce lo mette subito e genuinamente fra casereccio e mangereccio.

Con quest’apparecchiatura di parole a parlarci di ciò che è relativo alla campagna, si stenta a credere che ne servano altre. Ma il nostro è un Paese che in questo mondo dei campi ha radici profonde, non meno che nella dimensione urbana, e ogni parola in più sa prendere da un verso differente una realtà estremamente sfaccettata — nel modo in cui si manifesta, nella maniera in cui è stata ed è considerata.

Il georgico ha un equilibrio particolare: infatti si concentra proprio sul lavoro agricolo, sulla coltivazione della terra — e lo fa dall’alto della sua natura primaria di grecismo. Il risultato è un’attitudine particolare a indicare le opere letterarie e poetiche che trattano della vita nei campi.

Posso dire che sto leggendo un romanzo georgico su un paesino delle zone interne, posso perdermi nei dettagli georgici tratteggiati nella poesia, di un film che ambienta una vicenda originale in un contesto georgico. Il tono, si sente, è radicalmente diverso rispetto a quello che ci conferirebbe una qualunque alternativa della rosa che abbiamo considerato sopra: il georgico non presta aure leziose, non si addentra in quel nugolo di suggestioni che cerchiamo subito di annusare nelle parole della campagna. Come tante parole greche, ha un tratto sobrio, solido e vitale.

Tant’è che lasciando da parte le Georgiche di Virgilio, poema in quattro libri sul lavoro di campagna, e in generale l’arte che si concentra sul georgico, posso anche parlare del pomeriggio georgico che passo a curare il mio fazzoletto d’orto, delle velleità georgiche della zia (che però è sempre in viaggio), degli insegnamenti georgici che la mamma ha sempre pronti.

Una parola semplice e pulita, per quanto poco maneggiata. Anzi forse è così pulita poiché poco maneggiata.
Ah già, ma Giorgio? Etimologicamente, è l’agricoltore.

Parola pubblicata il 03 Novembre 2022