Lue
lù-e
Significato Malattia; corruzione, calamità
Etimologia voce dotta recuperata dal latino lues ‘epidemia, calamità’, propriamente ‘disfacimento’, derivato di lùere ‘sciogliere, liberare da un vincolo’.
- «È una persona che ai tempi si batté ferocemente contro la lue dei risvoltini.»
Parola pubblicata il 20 Maggio 2025
Nel tremendo XIX canto del Paradiso, in cui Dante si fa spiegare dagli spiriti giusti in forma d’aquila l’imperscrutabilità della giustizia divina, che è completamente inaccessibile al raziocinio, c’è anche un impietoso elenco di sovrani corrotti, che in particolare si dipana in nove terzine (vv. 115-141). Nove terzine che fanno balzare all’occhio un acrostico: le prime tre iniziano per ‘L’, le seconde tre per ‘V’, le ultime tre per ‘E’. LLLVVVEEE, insomma. Cioè ‘lue’. La calamità pubblica, la pestilenza, lo schifo del mondo.
‘Lue’ è una parola desueta ma meravigliosa. Già il modo in cui approda al suo calamitoso concetto è di un’intelligenza poetica struggente, dolorosa.
Il latino lues deriva da lùere, che echeggia bellamente nel solvere — uno sciogliere, un liberare da un vincolo. Questo scioglimento è il disfacimento della pestilenza, che decompone corpi fisici e sociali. Come comunità abbiamo avuto modo di assaggiare come l’idea si attagli bene al caso.
È una parola dotta e drammatica, nella sua morbidezza — ma d’altro canto il morbido non è figlio del morbo?
Nei secoli è stata usata per indicare i mali più diversi, dalle lue che attaccano i foraggi alla lue gallica o venerea, cioè la sifilide, ma il tratto forse più interessante è il suo uso in una prospettiva sociale, in cui è vizio, corruzione, scandalo.
Abbiamo altre parole che sfruttano significati di sanità pubblica per raccontare fenomeni degeneri; pensiamo alla serietà icastica della piaga, che da lesione che non guarisce si fa grave male sociale, come quando parliamo della piaga dell’analfabetismo; pensiamo all’epidemia, figura della trasmissione di costumi e idee che spregiamo; pensiamo a morbo e peste, che (forse con pesantezza ulteriore) in metafora si spandono.
La lue ha il pregio — controintuitivo ma che qui ci è ben noto — di non essere troppo chiara. È un cultismo, e non ci evoca al naso e alla mente malodori e dolori troppo prosaici, troppo corporei, troppo espliciti. Quindi parlare della lue che affligge il consiglio, delle lue dei nostri tempi, della lue sparsa da una persona dall’influenza nefasta, se da un lato richiama il disfacimento corrotto di epidemie e calamità, risulta un uso figurato meno didascalico e più compassato — più sobrio.
Certo che resta una parola da palati raffinati.