Nefasto

ne-fà-sto

Significato Funesto, di cattivo augurio, causa di rovina

Etimologia voce dotta recuperata dal latino nefastus, derivato di fastus ‘fasto, lecito’, col prefisso ne- ‘non’.

  • «L'istituto si è liberato da un'influenza nefasta.»

È una di quelle parole che decifriamo al volo — se ci dicono che oggi è un giorno nefasto non ci aspettiamo notizie eccellenti. Però usarla è un altro paio di maniche: al di fuori di certe costruzioni ricorrenti desta spesso incertezze. Ma al solito, basta chiarirsi le idee per riuscire a usarla in maniera più disinvolta.

Tutto comincia da un concetto centrale della religiosità romana: fas. Si tratta della legge divina, contrapposta a ius, il diritto umano — ed è quindi il lecito, ciò che è ammesso secondo le statuizioni delle divinità: letteralmente è qualcosa di approssimabile al detto. Infatti appartiene alla pianta del fari, ossia il parlare.
Se ne desume che il fastus, come aggettivo, ci qualifica il lecito, e anche il propizio — perché ciò che rispetta il volere superiore ne ha il favore. Per fare un esempio classico, erano fasti i giorni in cui era ammesso trattare affari, dibattere in tribunale, iniziare imprese e via dicendo: tutto con la mano celeste a patrocinio. Dato il quadro, con facile mossa di polso possiamo voltare la frittata in negativo.

Si dice nefastus ciò che è illecito secondo la legge divina. Mica un attributo dappoco — ma i sacerdoti hanno tratto gli auspici e non c’è niente da fare. È di cattivo augurio, sfavorevole, volto alla rovina e alla disgrazia, funesto, luttuoso — e non vogliamo dire che è anche maledetto ed empio? Dopotutto il ‘contrario a un volere superiore’ prende forme variegate. A contraltare dell’esempio di prima, i giorni nefasti erano giorni in cui tante attività pubbliche (come l’amministrazione della giustizia) dovevano attendere perché sarebbero state illecite, e quindi castigate da forze sovrannaturali.

Il nostro ‘nefasto’ viene preso in prestito dal latino nel Trecento, quando sono tanti, tanti secoli che nessuno trae più auspici e il contatto autentico con l’antica religione è perso. Ma restano significativi gusci di concetto — che comunque conservano al nefasto una grande e complessa versatilità, al di là del significato storico. Una versatilità che è anche alla base della sua difficoltà d’uso. Vediamola.

Il giorno nefasto è pieno di disgrazie; il presagio nefasto è di cattivo augurio; l’influsso nefasto è causa di sciagure; la persona nefasta è dannosa, perfino malvagia; la vicenda nefasta è ingloriosa, e finisce male.
Un carosello roseo, ma c’è un dato interessante (e un po’ difficile) da notare. Siamo davanti a un groppo in cui cause ed effetti si annodano sullo stesso piano: la prospettiva del male futuro (presagio nefasto) e l’esito già tratto (giorno nefasto), la disgrazia (evento nefasto) e l’agente che causa la disgrazia (azione nefasta). Insomma, è nefasto il delitto e nefasto il castigo. Questo perché precetto e sanzione nascono come un uno, e tale sottile realtà permane nell’uso linguistico del nefasto.

Così posso parlare dei giorni nefasti in cui ci hanno colpito diverse sfortune, da cui cerchiamo di rialzarci; parliamo di come in una risposta evasiva leggiamo un segno nefasto, che ci fa sospettare un problema importante; parliamo dell’influenza nefasta che una persona ha avuto su di noi; parliamo della persona nefasta che ha funestato il nostro lavoro; parliamo dei tentativi nefasti di far funzionare un prototipo.

Parola di gran caratura e netta eleganza; non semplice. Prossima e per certi versi sovrapposta a nefando e nefario, che insistono più precisamente sul turpe e l’abominevole, custodisce un’articolazione di pensiero davvero preziosa.

Parola pubblicata il 13 Gennaio 2025